Veronica Raimo alla Delfini: “Vi racconto di me, ma non credetici troppo”

Veronica Raimo (foto) ci tiene a dire che il suo “Niente di vero” (Einaudi) è un romanzo, non un memoir in senso stretto. Sebbene attinga molto dalla sua storia personale, è un flusso non cronologico di esperienze che vanno dall’infanzia alla giovane età adulta con registri spesso esilaranti, ma non privi di disincanto. Lo scorso sabato 28 maggio, l’autrice è stata ospite nel cortile della biblioteca Delfini di Modena per presentarlo, insieme con Anna Ferri, nell’ambito del ciclo di incontri “Scrittrici inChiostro”.

Veronica, quanto ti rappresenta questo romanzo?
Di sicuro l’io narrante è un vicino molto prossimo. Non per altro, si chiama come me. C’è molto della mia famiglia, ci sono molte cose vere insieme ad aneddoti inventati. Ho giocato a esasperare toni, caratteristiche, ossessioni, attraverso un registro comico-grottesco.

È un libro che restituisce il senso di una condizione: di sospensione, precarietà. Potremmo definirlo generazionale?
Me ne sono resa conto a posteriori, che nel racconto dell’infanzia c’è una vicinanza con persone della mia generazione, a chi è nato negli anni ‘70, L’infanzia è stata una zona caratterizzata da un sentimento di noia, anche perché non è che ci fossero tutte le forme di intrattenimento che ci sono oggi. Ma c’è anche una precarietà lavorativa ed esistenziale, a volte anche scelta: la possibilità di cambiare città, lavoro, amicizie. Penso che la mia generazione abbia fatto un percorso di vita meno lineare, vivendo perdite, addii, cambiamenti: un po’ come avere tanti matrimoni alle spalle, anche se non realmente celebrati.

Anche l’approccio all’amore della protagonista è piuttosto disincantato: è così?
Più che disincantata, credo si senta indeterminata. Da un processo di crescita ci si aspetta sempre di arrivare ad avere una certa consapevolezza, di fare scelte precise. Invece l’idea di vivere in quella sorta di indeterminatezza, che sta prima delle scelte, è quella che mi rappresenta di più.

È anche un romanzo dal passo europeo, con frequenti viaggi tra Roma e Berlino…
Penso che un po’ l’abbiamo data per scontata, l’Europa. Mi spiace però che ultimamente si parli sempre meno di internazionalismo, che invece è una questione che mi sta a cuore.

Come hai vissuto i periodi di lockdown?
Ovvio, non li ho vissuti bene, ero angosciata e anche un po’ catastrofista all’inizio. Non sono mai stata di quelli che dicevano “ne usciremo migliori”. Per fortuna vivendo a Roma, nel quartiere dove abito, ho sentito un forte senso di comunità, di mutuo soccorso, assistenza reciproca, mi sono sentita dentro una rete a cui sono molto grata.

La candidatura al premio Strega ti ha fatto piacere?
Sì, sono molto contenta. È la prima volta e sono ancora nella fase della curiosità.

C’è anche il progetto di un film dal romanzo…
Sì, ma è tutto in una fase ancora embrionale. Certo, vorrei essere coinvolta nel processo di scrittura decisionale, vorrei mettermi in gioco. Ci voglio stare molto dentro.

Ne farai un audiolibro?
C’è già su Audible e sta andando molto bene. Sono contenta, l’ha letto Cristina Pellegrino, un’attrice con cui avevo già collaborato.

Quindici anni fa usciva il tuo primo libro: cos’è la scrittura per te? Una pratica che senti congeniale?
Beh, direi di sì. Credo faccia parte del mio modo di guardare il mondo, del mio modo di pensare. Penso le cose in forma di possibilità, anche perché sono molto pigra. Già quello è un processo di scrittura. È una scrittura mentale ossessiva e poi quella pratica, che è un millesimo di quella mentale.

Fuori dalla letteratura quali sono i tuoi maggiori interessi?
Musica e cinema. Ultimamente sono in fissa con Lucrecia Martel. Non la conoscevo, ho recuperato i suoi film su Mubi.

Con Zerocalcare condividete la stessa città: in cos’altro vi assomigliate?
Un po’ si, rintraccio anche in lui questa specie di insofferenza per le retoriche dominanti. Mi piace il suo modo di barcamenarsi, di stare al mondo. Mi riconosco anche nella sua ansia, nei sensi di colpa. Mi sembra sempre conflittuale nelle scelte, invece di utilizzare un registro di pura assertività.

Gli incontri con il pubblico ti piacciono?
Dipende. Penso che la retorica del ‘che bello tornare a incontrare il pubblico’ non abbia molto senso. Per questo tendo a selezionare i posti che frequenterei a prescindere, da lettrice. Cerco incontri che abbiano un senso, e quasi sempre sono occasioni in cui si instaura un bel dialogo, un rapporto reale.

di Francesco Rossetti

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