Quando il calcio è donna: l’intervista a Roberta D’Adda, capitana del Sassuolo

Un mondo poco seguito che, però, merita il suo posto, al fianco del contraltare maschile. Parliamo del calcio femminile: uno sport che sta acquisendo sempre un maggior seguito in Italia. Nella nostra zona, la squadra di punta è il Sassuolo: le neroverdi militano in Serie A, occupando, purtroppo l’ultima posizione. Di questo e tanto altro, abbiamo parlato con la capitana Roberta D’Adda.

Roberta, come mai scegliesti di giocare a calcio?
Penso che il calcio sia uno sport che era già innato in me perché fin da piccola giocavo con la palla. Inoltre, mio fratello mi ha fatto amare questo sport, giocando sempre insieme a me a casa.

Hai per caso una partita che non dimenticherai mai?
Non ho una partita in particolare, ne ricordo con tanto piacere molte. Forse quella col Wolfsburg a Brescia, ritorno dei quarti di Champions, quando alla mia espulsione per somma di ammonizioni, verso fine del match, tutto lo stadio si è alzato in piedi facendomi la standing ovation.

In carriera hai vinto molto, qual è il titolo a cui tieni maggiormente?
Sono due gli scudetti che porto nel cuore: quello alla Fiammamonza, perché è stato il primo scudetto per me e vinto con un grande gruppo. L’altro è il primo del Brescia; è stata una sfida che alla fine, grazie alla società e alle mie compagne, abbiamo vinto.

Com’è stata l’esperienza della Nazionale?
Penso che vestire la maglia della Nazionale sia il sogno di ogni bambina che gioca a calcio. Novanta partite non sono poche e, ogni volta che indossavo quella maglia, era sempre una grande emozione.

Com’è il livello del calcio femminile in Italia?
Rispetto ai miei inizi è un po’ cresciuto. Però c’è ancora tanta strada da fare, soprattutto se si guarda al di là del nostro confine: in Europa il calcio femminile continua a crescere; per cui, se non vogliamo restare indietro, bisogna permettere a questo sport di esprimersi come merita.

Cosa dovrebbe fare il movimento del calcio femminile per avere più notorietà?
Innanzitutto, bisognerebbe avere maggior seguito mediatico e cambiare lo status del nostro calcio, passando al professionismo. Infine entrare nelle scuole, proponendo questo sport a bambine appassionate e volenterose che non sanno in che squadra poter andare.

Da quanti anni sei a Sassuolo? Che ambiente è?
Questo per me è il primo anno. Mi trovo bene. La societa è solida e lo staff che compone la squadra è competente. La squadra è molto giovane ma ha giocatrici che hanno grandi margini di miglioramento. Penso dunque che il futuro possa essere molto roseo.

Che cosa non sta funzionando in campionato e quali sono gli obiettivi per il prosieguo della stagione?
Stiamo ancora metabolizzando il cambio di Categoria: ci sono tante ragazze che sono alla loro prima esperienza in Serie A. Inoltre, la fortuna non è molto dalla nostra parte. Bisogna lavorare tanto, perché questa è l’unica strada per raggiungere risultati. Gli obiettivi sono quelli di crescere e acquisire sempre più esperienza. Ma, principalmete, puntiamo a salvarci e rimanere nella Categoria.

Oltre al calcio, hai altre passioni?
Sto facendo la scuola di osteopatia. Credo sarà il mio futuro, una volta appesi gli scarpini al chiodo, perchè mi piace molto.

di Mattia Amaduzzi

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