La Musica e il Potere: l’intervista a Guido Barbieri

Musica e potere: sarà Guido Barbieri (nella foto), docente di Storia ed estetica della musica al Conservatorio Maderna di Cesena a offrire un excursus storico di questa relazione nella conferenza aperta che terrà al Teatro San Carlo di Modena venerdì 23 marzo, alle ore 17.30.

Professor Barbieri, oggi la musica sembra occupare un posto piuttosto marginale rispetto al potere: è così?
È sotto gli occhi di tutti. Ciò avviene perché con l’inizio del ‘900 il potere (politico, economico, religioso) ha trovato altri sistemi di persuasione e di propaganda. Con la riproducibilità tecnica e l’esplosione dei mezzi di comunicazione di massa, sono entrati in gioco mezzi più potenti di conquista del consenso.

Tuttavia la musica è stata per molto tempo il simbolo sonoro del potere?
Sì, se si pensa a cosa ha rappresentato la scrittura musicale. La musica colta non è sempre stata scritta. Nel IX secolo, quando l’impero carolingio ha cominciato a espandersi in tutta Europa, ha preteso che tutte le pratiche del potere passassero attraverso la scrittura. Anche la musica doveva rispondere a un canone unificato. Si doveva cantare con una voce sola, come scrive in una lettera celebre il padre di Carlo Magno. È in quell’epoca peraltro che si registra un incredibile aumento del consumo di carta.

La musica è una delle espressioni più viscerali e inafferrabili. Non sembrerebbe facilmente collegata al potere..
Eppure i casi di un antagonismo musicale al potere sono rari nella storia. Accadde in Francia nel 1300, quando un gruppo di nobili parigini, guidati da Philippe de Vitry, che decidono di reagire in modo netto a Filippo IV il Bello, accusato di spremere fiscalmente la nobiltà francese per nutrire le finanze della Stato. La protesta produce un capolavoro della letteratura cavalleresca, il poema musicale “Roman de Fauvel”.

Nel 1637, a Venezia, nasce il primo teatro d’opera a a pagamento…
A Venezia la musica diventa merce. Mai prima d’ora qualcuno aveva comprato con denaro una merce immateriale come il suono. E’ l’invenzione del teatro commerciale. Venezia era un’anomalia politico- economica in Italia, una potenza cosmopolita. Questo accumulo di ricchezza finanziaria produsse un reddito posseduto dalle classi medie. Si pagava un biglietto in cambio di prestigio sociale. Nasce un altro potere: quello del mercato. Non c’è più un mecenate unico, ma un padrone di cui non conosci l’identità: il mercato, nella sua canonica struttura di domanda e offerta.

Con Mozart e Beethoven, il compositore si affranca dal potente di turno?
Rappresentano due esempi di un’epoca che cambia velocemente. Mozart lascia il suo impiego da organista e maestro di cappella per trasferirsi con la famiglia a Vienna dove non occupa una posizione stabile e si misura con le regole del mercato. Beethoven è il primo che non ha bisogno di compiere questo strappo. Gode di un vitalizio in cambio di nulla, senza obblighi compositivi stringenti e pressanti. In tal senso è stato un rivoluzionario, modificando i rapporti fra il compositore e il potere.

di Francesco Rossetti

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