Se Vandelli canta Battisti, sono… emozioni garantite!

Maurizio Vandelli torna con un nuovo progetto legato a Lucio Battisti. Uno show live (il prossimo in zona sarà al Teatro Duse di Bologna il 12 maggio) che segue la pubblicazione di un doppio cd + libro dal titolo “Emozioni garantite” (Azzurra Music).

“C’è un certo tasso di autoironia già nel titolo”, spiega Vandelli. “Se Emozioni rimanda al pezzo di Lucio, io poi ci ho aggiunto ‘garantite’, dato che a cantare sono io”.

Quando vi siete conosciuti con Battisti?

Quando non saprei più dirlo con precisione, io per le date ho sempre avuto un’amnesia. Però so che eravamo a Sanremo. Con l’Equipe 84 andammo a fare l’attrazione per una serata in un locale del casinò, durante il festival. Attrazione significava che eri il centro della serata, tiravi su la gente e suonavi per 40-45 minuti, non di più. L’orchestra base erano I Campioni, il gruppo fondato da Tony Dallara. Beh, appena arrivati, ancora con le valigie e gli strumenti in mano, mi si presenta questo ragazzino ricciolino, moro che dice: ah Maurì, che piacere conoscerti. Senti, io sono uno che scrive delle canzoni, te le posso fa sentì? Io allora ero un po’ scettico rispetto a queste proposte estemporanee, ma rimanemmo lì quattro cinque giorni e mi arresi a questa insistenza. Notai però che aveva una maniera originale di scrivere, diversa dal solito.

Era un Battisti che ancora non pensava di fare il cantante?

Esatto, l’unica cosa che voleva fare nella vita era scrivere canzoni per altri. Mi chiese: non mi puoi presentare a qualcuno? Io ero in Ricordi e così lo presentai a Mariano Rapetti (ndr. il padre di Mogol).

Quando vi propose “29 Settembre”?

Ricordo che venne da me dicendo: “ahò, te devo fa sentì ‘na canzone, se nun te piace questa, non te saluto più”. Comincio ad ascoltarla “Seduto in quel caffè…” e quando sento “poi d’’improvviso lei sorrise”, ammetto che sentii un brividino.

Battisti aveva una voce anomala per l’epoca?

Una voce unica, era quella la novità, una voce quasi da bluesman in italiano, e soprattutto componeva canzoni che la gente le cantava dopo tre secondi. In genere gli artisti fanno un disco con un pezzo di successo e dodici scarti. Lui faceva un album con tredici canzoni di successo.

Le tue canzoni preferite?

Son tutte belle, anche perché c’era un Mogol in una forma straordinaria. Mi sono commosso a riscoprire “La luce dell’est”, “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi”, “Amarsi un po’”.

In questi giorni ricorrono gli 80 anni dalla nascita…

Lo so, ma quando ho ideato il progetto non ci pensavo proprio. Volevo solo che la gente potesse divertirsi, assistere a un concerto a cui partecipare un po’ di più, ed ecco perché ho un grande schermo alle spalle dove passano i testi e la gente può cantare con me. Ti assicuro che spesso potrei scender dal palco che vanno avanti loro.

È uno show con ospiti?

Sì, sullo schermo ci sono amici e colleghi che interagiscono con me: Donatella Rettore, Fausto Leali, Dodi Battaglia con un assolo, Shel Shapiro (con cui avevo fatto un tour prima della pandemia). Quando parte “29 settembre”, al posto del giornale radio, c’è il telegiornale con Cesara Buonamici.

Come hai selezionato le canzoni?

Ho inciso le canzoni del periodo che mi lega direttamente a Lucio, ad alcune delle quali ho collaborato direttamente curandone l’arrangiamento, suonando la chitarre e facendo i cori.

Tutte con testi di Mogol: alla fine chi ci guadagna sempre è lui, Giulio (ndr. Rapetti).

Con il cd c’è anche un libro: cosa contiene?

Insieme a Massimo Cotto ho raccolto 50 aneddoti della mia vita, dei quali almeno 49 sono divertentissimi. A me non piace la biografia fredda, mi piace metter un po’ tutto sul ridere.

Come andò l’incontro con John Lennon?

Ero andato a trovare Simon & Marijke, grandi amici miei e di Lennon (ndr. quelli che pitturarono la famosa Rolls Royce).. Durante una specie di jam session, sentii una che sbraitava, mi venne da dire ad alta voce “chi è quella…  (parola irripetibile) che rompe i coglioni?” Un tipo lì accanto mi rispose dicendo: “è mia moglie”. Bene, quel tipo era John Lennon. Io stavo per svenire dalla gaffe, ma lui in compenso sorrise. O era d’accordo con me, o non aveva sentito…

A Modena cosa ti lega?

Beh, ho sempre pensato che fosse fantastica, ma soprattutto negli anni 60 e 70. C’era voglia di vivere allora, di inventare qualcosa, una creatività gigantesca. C’era il bar Grande Italia e lì nasceva metà delle storie creative italiane. Oggi invece purtroppo non ho più parenti e gli amici si sono un po’ rarefatti, ma quando incontro un modenese mi sento come se incontrassi un mio cugino.

di Francesco Rossetti

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