Il progetto di teatro e disabilità Cicabum compie 20 anni

Anna, Antonio, Michele, Letizia, Riccardo, Simone e Pietro sono gli attori disabili che, insieme a operatori e volontari, portano avanti il laboratorio teatrale Cicabùm. Promosso dall’assessorato al Welfare del Comune di Modena, il progetto celebra quest’anno i vent’anni di attività. Sara di Fabrizio, coordinatrice e presenza storica, ci racconta un po’ della loro storia e del loro presente.
Esperienza pressoché unica in Italia, Cicabùm resiste da 20 anni, come fate?
Siamo unici per una serie di motivi, perché c’è un comune che promuove e finanzia il progetto, perché il laboratorio si integra nel progetto di vita della persona e c’è un rapporto con i servizi educativi e territoriali e perché la nostra associazione fa ricerca su questi temi. E’ un laboratorio misto, con persone disabili e non, ciascuno con capacità e limiti diversi, dove si lavora seguendo un binomio apparentemente strano, fatto di rigore e libertà. Si rispettano i tempi dell’altro e la voglia di partecipare, se uno è stanco e si vuole staccare, lo può fare ma quando torna deve dare il massimo, con serietà.
In vent’anni quanti attori e collaboratori? Quanti spettacoli? In quali città e festival siete stati?
Tra operatori e disabili, abbiamo superato i cento. Ogni anno abbiamo fatto uno spettacolo, quindi siamo a venti con 10/15 repliche ciascuno! Nel 2007 siamo andati a Ostrava nella Repubblica Ceca a un festival internazionale, nel 2011 a Gorizia, poi al Tis Festival di Bologna nel 2003, varie volte al Festival delle Abilità Differenti di Carpi, poi abbiamo portato un laboratorio alla Scuola di Pace di Monte Sole, abbiamo partecipato a più edizioni del Festival Filosofia e tanto altro.
Come nasce uno spettacolo di Cicabùm, dall’idea fino al palco?
Con Ulisse Belluomini, il nostro regista, da qualche anno ci siamo spostati sulla commedia perché i ragazzi, con la loro vena comica naturale, rispondono molto bene. Adesso stiamo lavorando su Shakespeare, “Sogno di una notte di mezza estate”. Leggiamo i testi e proviamo i personaggi, poi ognuno guarda dall’esterno gli altri e dice quel che ha visto, ci educhiamo al teatro attraverso l’osservazione. Le improvvisazioni, legate alla purezza e alla spontaneità degli scambi, diventano copione, si chiama ‘scrittura scenica’. Alcuni dei ragazzi, quelli che possono, imparano anche i testi originali.
Qual è la forza del teatro, la risorsa che lo rende prezioso?
Il teatro aiuta a superare dei limiti e, mentre supero un limite, creo del nuovo. E’ democratico e inclusivo perché consente tanti linguaggi: se non cammino bene posso usare la voce, se non ho la voce uso altro. Quello che può essere ‘deforme’ fuori, in teatro può acquisire un senso poetico. E’ l’occasione per sentirsi riconosciuti da un gruppo. Inoltre, se il corpo ha delle fragilità, nel teatro puoi sentirti completo, che non ti manca nulla perché puoi riuscire a esprimerti al 100%.
Sul palco o dietro le quinte, ci regali un ricordo?
Sono tanti, ma ricordo un ragazzo autistico, che durante lo spettacolo ha visto in platea suo padre che aveva una cartellina con dentro i volantini pubblicitari che lui adorava, li arrotolava e ci faceva dei coni, aveva una sua stereotipia. E’ sceso in platea, ha preso la cartellina, è tornato sul palco con un rotolino di carta e si è messo a giocare con quello. A quel punto, tutto il resto del gruppo ha dovuto improvvisare, trasformando quel rotolino in un pesce al cartoccio, per farlo entrare nella scena!

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