‘Vicinanza e Fraternità contro la crisi’. Intervista al Vescovo Castellucci

La pandemia, le difficoltà dei giovani, il rapporto con le istituzioni, ma anche la prima Festa di San Geminiano dei tempi del Covid. Di questo e altro abbiamo parlato con il Vescovo di Modena Erio Castellucci, che si appresta a “inviare” la tradizionale lettera alla città in occasione delle celebrazioni del Patrono. “La lettera ci sarà, come da tradizione iniziata dal Vescovo Cocchi – conferma monsignor Castellucci – naturalmente sarà dedicata al momento attuale, cercando di offrire qualche spunto e di far rifluire sulla città e su chi vorrà leggerla, qualche riflessione maturata a contatto con le persone in questi mesi. Per quanto riguarda la festa del Patrono possiamo dire che sarà un San Geminiano con la mascherina. Non ci sarà la processione dei fedeli alla tomba del Santo e le messe avranno le presenze contingentate”.

Monsignor Castellucci, come ha reagito secondo lei la comunità modenese alla situazione difficile in cui ci siamo venuti a trovare?
Per quanto riguarda la comunità religiosa, nei primi tempi ha reagito con un po’ di stordimento come tutti. Prima ci si è fermati un attimo, poi ci si è cominciati ad organizzare anche con una certa creatività attraverso contatti e assistenza da remoto, riunioni online e celebrazioni a distanza. I parroci sono stati molto attenti e hanno attivato tante reti di prossimità, che pur non potendo raggiungere le persone fisicamente per dare un aiuto materiale, si facevano però sentire, erano presenti. Naturalmente le restrizioni per contrastare la pandemia hanno portato a una vita comunitaria che potremmo definire ‘monca’ e c’è un gran desiderio di poter ripartire con un maggiore apprezzamento delle relazioni. A volte lo si da per scontato ma non lo è.

E la comunità civile?
Per quello che ho visto e per come ho sentito le istituzioni locali, si è reagito con un’attenzione capillare al territorio. Possiamo dire che la gente ha reagito bene all’inizio. Poi in estate ci eravamo tutti illusi che fosse finita, invece ci siamo trovati di fronti ad una seconda ondata che ha fatto emergere disillusione e anche espressioni di rabbia.

Con le istituzioni il rapporto in questo periodo come è stato?
Di piena collaborazione. L’abbiamo riscontata da parte loro, ma anche offerta e le amministrazioni locali, oltre alla Protezione Civile e alla Croce Rossa, si sono appoggiate anche alla Caritas e alle associazioni da essa coordinate.

Papa Francesco ha più volte parlato di “Non lasciare indietro nessuno”. Come è possibile in un momento in cui la pandemia porta inevitabilmente all’isolamento e all’individualismo?
Papa Francesco ha detto due o tre parole che, se accolte, possono aiutare una vera ripresa: ‘Vicinanza’, un modo più laico per definire la prossimità, e “Fraternità”. Io credo che, una volta che l’emergenza sanitaria sarà superata, usciremo pienamente dalla crisi solo se avremo il coraggio di mettere in atto questi due atteggiamenti. ‘Vicinanza’ significa il coraggio di uscire dalle proprie chiusure, dai pericolosi ragionamenti corporativi che a volte si fanno e che portano a un egoismo di gruppo, il “noi” che è in realtà un “io” amplificato. Una vicinanza come “Fraternità” cioè sentire che la situazione dell’altro non mi è indifferente, non solo perché anch’io posso dare, ma perché faccio parte della stessa famiglia, quindi se l’altro sta meglio, sto meglio anch’io. Andare incontro, ad esempio, alle persone che sono state colpite economicamente e psicologicamente significa anche creare per tutti una società un po’ più vivibile.

Chi sta risentendo molto di questa situazione, anche dal punto di vista psicologico, sono i giovani, in particolare gli adolescenti…
Al di la degli anziani e degli ammalati, credo che gli adolescenti siano quelli che stanno soffrendo di più. Questo perché è una fascia di persone che non hanno ancora l’autonomia e la padronanza dei giovani adulti, ma neanche la stessa attenzione che ricevono i bambini. Lo dimostra il fatto che, quando si decide di chiudere le scuola, si parte dalle superiori. Questo per molti aspetti è comprensibile, ma certamente bisognerà porsi davvero il problema degli adolescenti, di come farli sentire abbracciati una volta usciti da questa situazione.

Di recente lei è diventato Vescovo anche della diocesi di Carpi. Che comunità ha trovato?
Nonostante sia una diocesi non grande, circa 130 mila abitanti, l’ho trovata molto vivace. Ha un associazionismo, anche giovanile, radicato e una capacità di intervenire nelle situazioni sociali. C’è, ad esempio, un’attenzione forte ai migranti, all’accoglienza della vita. Da questo punto di vista, quindi, sono contento, anche se sono un po’ timoroso per il fatto che non ci sia un Vescovo integralmente dedicato a Carpi, come avevo sperato che ci fosse.

di Giovanni Botti

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