Cinema: William Hurt, l’interprete principale del film “La peste”, compie 70 anni

William Hurt ne "La peste" (1992)

Una delle migliori letture per questi giorni di ritirata strategica rispetto al virus, è La peste di Albert Camus. Nel 1992 fu il regista argentino Luis Puenzo a trarne un film di una certa ambizione, forse non riuscitissimo, con un cast internazionale guidato da William Hurt nel ruolo del protagonista: il dottor Rieux.

Venerdì 20 marzo l’attore americano compie 70 anni. E’ tutt’ora in attività, ma negli anni ’80 era una vera star. Il capofila di una nuova generazione di attori che dava il cambio ai grandi talenti emersi negli anni ’70: Hoffman, Nicholson, Pacino, De Niro. Per forza magnetica, intensità, adesione, tecnica, Hurt si pone sullo stesso livello, insieme ad altri attori nati negli anni ’50 che caratterizzeranno il decennio, come Mickey Rourke, John Malkovich, Willem Dafoe e, su un gradino leggermente inferiore, Kevin Costner. Il fatto che a partire dagli anni ’90 Hurt abbia progressivamente perso lo status di star, lo rende forse ancor più credibile.

Alto 1,88 metri, Hurt ha un aspetto nordico, si potrebbe dire tipicamente wasp: gli occhi azzurri e i capelli biondi, lisci e sottili, che nel corso degli anni si fanno progressivamente più radi, alzandogli all’inverosimile la fronte. Un attore specializzato in personaggi complessi, efficace in una delle cose più difficili da rendere sullo schermo: pensare. Con una popolarità maggiore in Europa che negli Stati Uniti: un classico. Tecnicamente, Hurt un virtuoso dell’attesa, della pausa tenuta, della reazione alla situazione che il personaggio vive sulla scena. Sullo schermo difficilmente reagisce in modo scontato, prevedibile. “Ogni volta che giro una scena”, spiega, “devo chiedermi: lo sto facendo per attirare l’attenzione o lo sto facendo per prestare attenzione? Credo che qualcosa di buono possa nascere solo per quest’ultima ragione.”

Hurt ha avuto una prima infanzia molto particolare. Il padre era un funzionario del Dipartimento di Stato, di stanza in un’isoletta americana nel Pacifico del Sud: Guam. Dopo il divorzio dei genitori, Hurt ha seguito la madre a Manhattan, dove è cresciuto nell’Harlem spagnolo, ma parallelamente ha continuato a trascorrere le estati con il padre, in località esotiche che comprendono Lahore in Pakistan, Khartum in Sudan e la capitale della Somalia, Mogadiscio. Un’infanzia privilegiata, da giramondo. “No so se queste esperienze abbiamo influenzato direttamente la mia propensione verso la recitazione”, spiega Hurt. “Di sicuro le persone, gli individui mi hanno sempre affascinato. Le ho sempre osservate”.

Forte e continuativo è il suo legame con il palcoscenico, che lo distingue da buona parte dei colleghi dello star system americano. William Hurt ha dovuto compiere 30 anni prima di debuttare sul grande schermo con Stati di allucinazione di Ken Russell. Nei dieci anni precedenti Hurt ha fatto molto teatro, soprattutto con la Circle Repertory Company di New York. La lista dei suoi spettacoli teatrali è lunga quasi quanto quella dei film. Hurt ha recitato testi di Arthur Miller (Il crogiuolo), Eugenie O’Neill (Il lungo viaggio verso la notte), Harold Pinter (Terra di nessuno), Tom Stoppard (Rosencrantz and Guildenstern), Shakespeare a più riprese (Amleto, La bisbetica domata, Romeo e Giulietta, Riccardo II, Riccardo III, Il sogno di una notte di mezza estate, Enrico V e Enrico VI). Si è calato anche nei panni cechoviani del dottor Astrov nello Zio Vanya.

La passione per il teatro risale agli anni del college in Massachusets e si approfondisce grazie al legame con l’attrice Mary Beth Supinger, che diventa la sua prima moglie. Hurt frequenta e studia alla prestigiosa Julliard School (niente Actor’s Studio). Due dei suoi compagni di corso sono Christopher Reeve e Robin Williams. Nel frattempo il matrimonio si esaurisce e Hurt debutta come attore in una produzione di Amleto a un festival shakespeariano in Oregon. Seguono gli anni con la Circle Repertory Company. Curiosità: la coppia divorzia definitivamente nel 1981. Due anni più tardi l’ex moglie si risposa con il regista Paul Schrader.

Attore di punta della scena newyorkese, con qualche apparizione televisiva (appare in due episodi di Kojak, per esempio), è normale che Hurt riceva le attenzioni di Hollywood. Ma stava per rinunciare a Stati di allucinazione. Il problema è che il film doveva girarlo Arthur Penn (quello de Il piccolo grande uomo e di Missouri). Hurt racconta che trascorse tre settimane di prove con Penn, con il coinvolgimento diretto dell’autore della sceneggiatura, Paddy Chayefsky (quello di Quinto potere). Penn venne sostituito e chiamarono il regista inglese Ken Russell. Hurt si trovò ormai dentro il progetto e non poté tirarsi indietro. Il film è interessante anche oggi e il debutto sul grande schermo di Hurt viene ricompensato con una candidatura ai Golden Globes.

THE BIG CHILL, William Hurt, 1983, (c)Columbia Pictures

L’anno successivo il grande successo arriva con Brivido caldo diretto da Lawrence Kasdan, ispirato a un classico del noir americano: La morte paga doppio di James Cain. Qui Hurt recita accanto (‘opposite’, dicono in inglese) a Kathleen Turner, e in un breve cameo appare anche un Mickey Rourke agli inizi. Con Kasdan, Hurt torna a lavorare in Il grande freddo, opera di culto sulle disillusioni post-Sessantotto con un’ottima squadra di attori (Glenn Close, Kevin Kline, Jeff Goldblum, etc.). Poi è il turno de Il bacio della donna ragno di Hector Babenco, tratto da uno dei romanzi più significativi dell’intero Novecento sudamericano, scritto da Manuel Pig. Dall’impronta marcatamente teatrale, il film si presta a interpretazioni di spessore, raccontando la strana e forzata convivenza di due detenuti in carcere durante la dittatura militare argentina degli anni ’70: un omosessuale e un dissidente politico. Hurt vince sia a Cannes che agli Oscar (ottiene anche un David di Donatello). “I’m very proud to be an actor”, dice in un laconico discorso di accettazione della statuetta. In un’intervista successiva gli chiedono: “perché, lei che è un sex symbol, ha accettato il ruolo di un omosessuale?” E lui, secco: “perché non avrei dovuto?”

Ulteriore film iconico del periodo è Figli di un Dio minore di Randa Haines, dove Hurt interpreta un insegnante anticonformista dentro a un’istituto di riabilitazione per sordi e il ruolo sembra perfetto per lui. Nel 1988 una delle sue migliori interpretazioni in assoluto è in Turista per caso del 1988, sempre diretto da Kasdan. I memorabili anni ’80 dell’attore si chiudono con Alice di Woody Allen, al fianco di Mia Farrow, e con la parte di protagonista in Fino alla fine del mondo, l’ambizioso progetto di Wim Wenders.

Poi Hurt ha sempre continuato a lavorare, ma lasciando via via ad altri la parte da protagonista. Tra i film da ricordare, Smoke di Wayne Wang (scritto da Paul Auster), accanto a Harvey Keitel, già compagno di palcoscenico per un successful allestimento di Hurlyburly, la pièce di David Rabe. E Jane Eyre (1996) del nostro Franco Zeffirelli, con Charlotte Gainsbourg. Pare che i rapporti sul set fra Hurt e il regista fiorentino fossero improntati a una totale freddezza e distanza. Zeffirelli definì Hurt “l’attore più complicato con cui abbia mai lavorato”, ma il risultato è un film notevole, forse la miglior riduzione cinematografica del romanzo di Charlotte Bronte.

di Francesco Rossetti

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