Robert De Niro compie 80 anni, il compleanno di una leggenda

Robert De Niro, "Bloody-Mama", 1970

Pochi giorni fa la visita sul set di Paolo Sorrentino, dopo un soggiorno vacanziero alle Eolie. Ma oggi Robert De Niro – o anche “Robert The Hero”, come recitava una canzone di Finley Quaye – compie 80 anni e magari sarà già rientrato a New York, dov’è nato il 17 agosto 1943. È un uomo ricco, possiede ristoranti e proprietà immobiliari in tutto il mondo, dirige il maggior festival cinematografico newyorkese (Tribeca) e lavora a pieno ritmo, ‘still in the game’. Il suo prossimo film (manco a dirlo, attesissimo) è “Killers of the Flower Moon”, nona collaborazione con Martin Scorsese, a ottobre nei cinema italiani.

È una leggenda del cinema, sa di esserlo, ma non è sempre stato così. Se si torna indietro di 50 anni, al 1973, allora si scopre un attore trentenne che ancora lavora per pagarsi l’affitto, la cui carriera sta forse sì sbocciando, ma non in modo tale da presagire un percorso da icona.

Si dice che il talento risieda nelle scelte, ma spesso anche nella fortuna. Se entri in film magnifici e irripetibili come “Novecento” e “C’era una volta in America”, per limitarci alle avventure italiane, sai che avrai un posto nella storia del cinema, malgrado i flop al botteghino, gli incassi inizialmente insufficienti.

De Niro del resto non è mai stato un blockbuster: meglio così, non ha avuto bisogno di esserlo per venire definito non di rado il miglior attore del mondo. Ha compiuto le sue scelte controcorrente: per esempio, non ha mai pensato di togliersi quel neo sulla guancia che caratterizza il suo viso. Può sembrare una banalità, ma non lo è: a Hollywood molti aspiranti attori fanno di peggio, pur sentirsi a proprio agio.

Ma torniamo al 1973, al De Niro ancora outsider, quello che chi scrive ama maggiormente perché in progress, ma con la salda certezza che la recitazione richieda il 110 per cento del tuo tempo e delle tue energie.

Prende rischi quando non è ancora nessuno e compie ricerche per ogni caratterizzazione. Questo lavoro incessante e ossessivo sul personaggio proseguirà a lungo, in modo maniacale e sorprendente, fino alla fine degli anni ’80 quando, magari stanco e appagato, da “Midnight run” in poi, smetterà di impegnarsi così tanto in processo di trasformazione camaleontica. Ecco, forse è proprio a partire da questa scelta che le sue interpretazioni perdono qualcosa, quel tocco di follia e genialità che lo avevano fin lì caratterizzato.

provino per “The Godfather”, 1972

 

Outsider sì, ma pur sempre newyorkese, nato e cresciuto a Manhattan, figlio di due artisti inseriti nel mondo dell’espressione. Il ragazzo De Niro cresce come figlio unico tra vernissage di mostre, film, leggendo molto, forse un po’ isolato, lasciato spesso da solo. Gli amici lo chiamano “Bobby milk” per il pallore del viso.

È silenzioso (ancora oggi, nelle interviste spicca per una dialettica poco articolata, e questo ce lo rende simpatico, in un’epoca in tutti devono risultare brillanti per promuoversi) e osserva, osserva in continuazione, occhi mobili come nei primi fotogrammi di “Taxi driver”. Riesce a evitare di andare in Vietnam. Diventa maggiorenne nei mitici anni sessanta, quelli dei Beatles e della rivoluzione culturale in tanti campi, incluso il movimento hippie, ma De Niro rimane sempre un po’ ai margini, da osservatore.
Attore del ‘metodo’, studia con Stella Adler e non con il più blasonato Lee Strasberg. Comincia a entrare in commedie teatrali e in film sperimentali: tre di questi saranno progetti di un giovanissimo Brian De Palma. A colpire da subito (anzi, col senno di poi) sono l’intensità e la determinazione con cui fa ricerca. In qualche modo nell’ambiente costruisce una reputazione di attore duttile e preparato, abile nelle caratterizzazione, capace di impersonare più tipologie, ma non per forza il ruolo del protagonista.

Fa anche i canonici lavoretti per tirare avanti, malgrado viva già da solo in un piccolo appartamento che gli ha passato la madre (una bella fortuna!). Racconta di aver servito come cameriere a un party di presentazione de “Il laureato” il 5 giugno 1968, la notte che spararono a Robert Kennedy. Peraltro quel film sarà quello che rivelerà il talento di Dustin Hoffman, il capostipite di quella formidabile nidiata di attori anti-eroi, dalle ‘facce qualunque’, a cui De Niro appartiene.

“Bang the drum slowly”, 1973

 

A girare un film ci si può arrivare con un provino (audition), ma è più facile che accada per relazioni, segnalazioni. Così De Niro entra nel cast di “Bloody Mama” grazie alla protagonista Shelley Winters, attrice di lungo corso e di personalità (convolata a nozze anche con Vittorio Gassman). Il film si inserisce sul filone di “Bonnie & Clyde”, super successo al botteghino per Warren Beatty. È un film ambientato negli anni ’30, in piena Depressione. Per prepararsi De Niro investe di suo. Si trasferisce in Arkansas con l’obiettivo di perdere il suo forte accento newyorkese. Parla con i locali e registra tutto su nastro, poi riascolta. Il film è diretto da Roger Corman e questo lo lega a un altro big della generazione anni ’70: Jack Nicholson, la cui carriera prenderà il volo grazie a “Easy rider”.

A volte lavorare in una direzione può generare frutti in lavori successivi: a De Niro è successo. In “Jennifer on my mind” del 1971 è un tassista: vi ricorda qualcosa? Per “The gang that couldn’t shoot straight” dello stesso anno chiede alla produzione di poter andare prima in Italia a studiare l’accento. Un’esperienza che gli tornerà assai utile quando Francis Ford Coppola lo sceglierà per “Il Padrino – parte seconda”.

Nel frattempo conosce Martin Scorsese a una festa (o meglio riconosce, perché i due si erano incrociati da ragazzini sulle strade di Little Italy) e ottiene una parte in “Bang the drum slowly”. È quella di un giocatore di baseball affetto da linfoma incurabile. Non solo l’attore si cimenta con mazza e palla, ma compie tutte le sue proverbiali ricerche. Per esempio, comincia a masticare il tabacco. Abitudine dannosissima, rispetto alla quale De Niro in seguito dirà: “ho provato diverse altre cose che producessero lo stesso effetto, liquirizie, foglie di tè, ma niente funziona come the real thing“.

E così arriviamo al 1973, 50 anni fa, un anno di svolta, ma ancora interlocutorio rispetto al futuro della movie star. Escono sia “Bang the drum slowly” che “Mean Street”, primo gioiello della miracolosa collaborazione con Martin Scorsese. Due film di nicchia che si guadagnano critiche eccellenti. E la critica all’epoca contava più di oggi.

Sempre in quell’anno De Niro ottiene la parte di Vito Corleone giovane, sulle orme di Marlon Brando.

È tutto ancor da costruire. C’è da lavorare per splendere sullo schermo. Così, nell’ottobre di quell’anno, De Niro se ne va in Sicilia e si ferma persino a Corleone. Quel film gli frutterà un Oscar come miglior attore protagonista. A sua volta la Sicilia resterà nella sua geografia personale tramite ricorrenti vacanze in alberghi di lusso, quasi sempre nelle isole Eolie, come qualche settimana fa.

di Francesco Rossetti

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