Vasco e Lucio, due leggende a confronto. Intervista allo scrittore Massimo Poggini

Due ricorrenze s’intrecciano in questi primi mesi del 2022 nella galassia del pop italiano: a febbraio Vasco Rossi (foto) ha compiuto i suoi primi gloriosi 70 anni, mentre il 1° marzo ci siamo resi conto che sono già passati 10 anni dall’improvvisa scomparsa di Lucio Dalla, in una stanza d’albergo di Montreux, in Svizzera. A parlarne mercoledì 30 marzo alle 21, nell’Auditorium Loria di Carpi (via Rodolfo Pio 1), sarà il giornalista Massimo Poggini, autore di “70 Volte Vasco. Storia di una rockstar” (Baldini+Castoldi) e “Lucio Dalla. Immagini e racconti di una vita profonda come il mare” (Rizzoli), incalzato dalle domande di Pierluigi Senatore. L’ingresso è gratuito con obbligo di green pass e mascherina.

Poggini, cos’hanno in comune Lucio e Vasco?
Il territorio. Uno di Bologna, l’altro di Zocca, ma con frequentazioni sotto le due torri. In un contesto emiliano con una lista piuttosto lunga di artisti pop che comincia negli anni ’60 con Gianni Morandi, i Nomadi, Caterina Caselli, Guccini…

Cosa pensava Lucio di Vasco? E Vasco di Lucio?
C’era grande stima reciproca. Quando Vasco ha cominciato, alla fine degli anni ‘70, Lucio era già una superstar. Erano usciti “Com’è profondo il mare”, l’album con “L’anno che verrà”, “Banana Republic”, però già allora Lucio parlava molto bene di Vasco, anche se gli fece un piccolo sgambetto che racconto in entrambi i libri.

Di che si tratta?
Uno dei primissimi collaboratori di Vasco fu Gaetano Curreri. Lui a fare gli arrangiamenti dei primi album, lui quello che lo convinse a tentare sul serio la carriera di cantante, mentre Vasco all’epoca vestiva i panni del disk jockey. Successe che l’impresario Ballandi nel 1979 propose a Vasco di esibirsi in piazza Maggiore a Bologna. Piccolo particolare: non gli disse che in realtà il concerto faceva da contorno a un comizio di Claudio Signorile, all’epoca esponente di spicco del PSI. Lucio proibì a Curreri di liberarsi per andare a suonare con Vasco. Curreri però disobbedì e suonò, tra l’altro introducendo al piano “Albachiara”.

Collaborazioni tra i due?
Più di una volta Lucio ha cercato di collaborare. Una volta andò addirittura a trovarlo a Zocca insieme a Morandi (foto), che era un mito per la mamma di Vasco. Non accadde nulla. Le loro voci si trovano in “La faccia delle donne” degli Stadio. Vasco duetta con Curreri e a un certo punto ci sono alcuni vocalizzi di Dalla. Ma furono incisioni effettuate in fasi diverse.

Come hai raccontato Dalla?
Ho scelto dieci grandi temi: il mare, lo sport, il jazz, l’amore per Bologna, le cose fatte al di fuori dalla canzone, dal cinema alla riscrittura della Tosca.

Anche lo sport?
Sì, era un grandissimo appassionato di automobili e basket, tifosissimo della Virtus. Aveva anche il suo posto fisso nella tribuna del Dall’Ara.

Come nacque la collaborazione con De Gregori?
Fu Walter Veltroni, allora segretario Fgci, a proporre a entrambi di fare un concerto insieme al Flaminio di Roma. Ebbero pochissimo tempo per metterlo in piedi. La scaletta la scrissero sul treno tornando da Bologna a Roma. Poi si trovarono bene e ebbero l’idea di fare un tour negli stadi. Era un periodo quello di grande tensione sociale, e i concerti quasi non si facevano più. Ma il tour andò molto oltre le aspettative, contribuì a far ripartire i concerti e le tournée.

Se fosse ancora vivo, Lucio cosa farebbe ora?
Mille progetti, come sempre. Magari un po’ meno canzoni e più cose sperimentali, come nel suo ultimo periodo.

Passiamo a Vasco. Gli avevi già dedicato un libro?
Sì, nel lontano 1985. Ora ci torno a distanza di quasi 40 anni, con in più tante canzoni e un successo enorme e duraturo.

All’inizio pochi credevano in Vasco, vero?
Sì. Al suo secondo festival di Sanremo, quello di “Vita spericolata”, un collega mi chiese “perché perdi tempo dietro a questo Mick Jagger dei poveri? Non combinerà mai niente”. Evidentemente si sbagliava.

Quando hai cominciato a seguirlo?
L’ho conosciuto nel ’79, a Bussoladomani, in Versilia. Poi abbiamo cominciato a frequentarci come amici. Lo vedevi che aveva una sostanza, sapeva benissimo dove poteva arrivare. Disco dopo disco, cresceva, ogni volta un gradino sopra. Poi ci fu l’esplosione con “Bollicine”.

E quando il successo si è trasformato in mito?
Secondo me, in modo definitivo, con il concerto di Imola del 1998, quello dell’Heineken Jammin’ Festival.

E il concerto del 2017 a Modena Park, che tappa è stata?
Beh, Modena è stata la celebrazione finale: 230.000 persone paganti è un record mondiale. Credo che più di questo non si possa ottenere.

di Francesco Rossetti

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