Panini, storia di una famiglia. L’ha raccontata in un libro Leo Turrini

La biografia familiare che Leo Turrini ha dedicato ai Panini di Modena è già alla seconda edizione. Nonostante il semi lockdown nel quale ci ritroviamo per via del Covid19, “Panini. Storia di una famiglia e di tante figurine” (320 pagg, 18 euro, Minerva editore) solletica l’interesse e la curiosità di tanti lettori. “A me fa molto piacere”, spiega l’autore, “perché ho sempre pensato che la storia della famiglia Panini meritasse di essere sottratta all’oblio”.

Perché secondo lei questa è una delle più belle storie italiane del Novecento?
Basta pensare a otto fratelli (quattro maschi e quattro femmine) che perdono il papà Antonio quando sono ragazzini, che si ritrovano con una mamma vedova, Olga, la quale ha il coraggio in piena guerra civile, nell’inverno del 44-45, di aprire una minuscola edicola a due passi dal duomo. Nel giro di nemmeno vent’anni, questa famiglia trasforma il proprio cognome in uno dei brand più famosi sulla faccia della terra.

Qual è il segreto dei Panini?
Come scrive Walter Veltroni nella prefazione, i Panini stanno all’Italia come Walt Disney sta all’America. Nel senso che hanno lavorato per la nostra felicità di bambini e adolescenti. La loro è una vicenda che unisce fatica e genio. Per noi modenesi si tratta di qualcosa di unico.

Una storia di grande capacità imprenditoriale…
Sì, se pensi che le figurine esistevano già nell’Ottocento. Sono i Panini che hanno l’intuizione di trasformarle in qualcosa di aggregante, intuendo la portata enorme dell’elemento ‘collezione’. Negli anni ‘30 del Novecento l’Italia impazziva per la figurina del feroce Saladino. A quel tempo le figurine venivano usate come gadget, regalate insieme ai cioccolatini, le sigarette, i primi detersivi della Mira Lanza, ma non c’era l’attenzione del valore didattico della figurina. Insieme ad altre famiglie (i Ferrero, i Borghi dei frigoriferi Ignis), loro sono l’espressione dell’Italia migliore perché hanno anche il senso della responsabilità sociale dell’imprenditore.

Panini significa anche pallavolo…
Ci entrano nel 1966 quando il volley era uno sport minore. Lo fanno perché sentono di dover restituire qualcosa al territorio, perché Modena in Italia per ragioni storiche è la città del volley, così come Bologna è la basket city. Ma non gli rende nulla dal punto di vista commerciale, non vendono una figurina in più. Grazie ai Panini l’Italia ha vinto tre campionati del mondo e quattro medaglie olimpiche.

Le figurine sono legate ai campioni dello sport…
Certo, ma non solo. I Panini fecero albi sulla preistoria, sugli animali, sulle bandiere del mondo, sugli sceneggiati tv (dal ‘Pinocchio’ di Comencini a Sandokan, a Happy days), perfino un album dedicato agli eroi del Risorgimento con Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele II al posto di Riva, Rivera, Mazzola e Facchetti. Tutti successi. In più portarono l’album dei calciatori in tutto il mondo, vendendo figurine anche nell’Egitto di Nasser o nella Jugoslavia di Tito. Avevano questo tipo di sensibilità internazionale, non si sono limitati a un orizzonte domestico.

Uno dei fratelli se ne andò in Sudamerica…
Fu Umberto, meccanico che da giovane lavorava alla Moto Maserati. Si stabilì in Venezuela, fece fortuna come mago dei motori. Nei primi anni 60 ricevette una lettera dai fratelli che diceva: ‘guarda che l’America è qui in Italia, torna che abbiamo bisogno di un direttore tecnico dello stabilimento’. Lui accettò. Inventò anche una macchina innovativa, la Fifimatic, per passare dall’imbustamento a mano delle figurine a quella automatica. Fu lui a ‘salvare’ le più belle Maserati storiche dalla dispersione, quelle che ora fanno bella mostra nella tenuta Hombre alle porte di Modena. Anche Benito, il primo dei fratelli a morire, fu un grande appassionato di motori, in particolare dell’Alfa Romeo.

Nessuno dei quattro aveva fatto studi?
Il più colto dei fratelli è stato Franco Cosimo. Intellettuale raffinatissimo. Dopo la cessione dell’azienda di famiglia si mise in proprio, curando con la sua casa editrice la riedizione della Bibbia di Borso d’Este.

La signora Olga ha fatto in tempo a godersi il successo?
Sì. In effetti lei è stata il motore di tutto. L’edicola per molti anni la regge da sola. E cominciarono a sperimentare. Negli anni ‘50 ritagliavano le foto dei divi dalle riviste della resa: Sofia Loren, Fausto Coppi… per poi rivenderli. Avevano già compreso il potenziale dell’elemento ‘collezione’.

Quanto le è piaciuto scrivere questo libro?
Moltissimo. Del resto avevo una promessa da onorare. Il più grande dei fratelli, Giuseppe, nel 1993, l’anno in cui cedettero la squadra di pallavolo dopo 27 anni, mi disse: mi piacerebbe che un giorno raccontassi la storia della mia famiglia. A distanza di decenni è stato suo figlio Tonino, mio coetaneo, a ricordarmelo. Un giorno mi ha detto: bisogna che quella promessa tu la mantieni. E mi ha aiutato molto: io non sono Dante, ma lui di sicuro mi ha fatto da Virgilio.

di Francesco Rossetti

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