Storie di Sport: la vicenda del pilota Parlotti raccontata in una canzone da Alessandro Bedoni

Lo sport è fatto di grandi imprese e grandi campioni, ma anche di piccole storie e di personaggi di provincia, che però sono rimasti nel cuore di tanti appassionati. Ad uno di loro, Gilberto Parlotti, motociclista triestino, morto durante il ‘Tourist Trophy’ sull’Isola di Man nel 1972, pochi mesi dopo aver ottenuto finalmente un contratto ufficiale, Alessandro Bedoni, giornalista con la passione per la musica, ha dedicato una canzone. E questa a Trieste, ma anche a Zero Bianco, il paese in provincia di Treviso dove Parlotti è nato, è diventata piuttosto celebre.

Alessandro, per chi non lo conoscesse, chi era Gilberto Parlotti?
Era un pilota arrivato ad avere un contratto ufficiale con la Morbidelli solo a 32 anni, dopo aver corso in tutte le cilindrate. In quell’anno, il 1972, nella classe 125 lui partì benissimo vincendo in Germania e in Francia. Nonostante il suo patron Giancarlo Morbidelli avesse cercato di dissuaderlo, volle andare anche al Tourist Trophy, sull’Isola di Man, gara allora valevole per il mondiale che si correva su un circuito di 60 km completamente stradale, in condizioni spesso molto difficili.

E poi cosa successe?
Giacomo Agostini era uno dei suoi più cari amici e di Tourist Trophy ne aveva vinti nove. Quindi il giorno prima della corsa Parlotti si fece accompagnare da lui in macchina per una specie di ricognizione. Il giorno della gara, però, c’era un tempo da tregenda. Lui partì con una pioggia torrenziale e purtroppo, quando era in testa con 33 secondi di vantaggio, alla curva della Verandah, davanti a nessun testimone, perse il controllo della moto, cadde nel dirupo e morì sul colpo. La leggenda dice che Agostini, la cui gara nella classe 500 era prevista per il pomeriggio, non voleva partire, ma gli ricordarono che era pagato per correre. Quindi scese in pista e vinse con otto minuti di vantaggio, ma alla fine disse che su quel circuito non sarebbe più tornato. La vicenda di Parlotti può essere considerata lo spartiacque del motociclismo moderno, con i piloti che per la prima volta cominciarono a ribellarsi a certi circuiti.

Tu come apprendesti la notizia?
La sera stessa attraverso il telegiornale, la diedero in maniera molto rapida come accadeva all’epoca. La cena successiva, a casa di un amico, si svolse con un po’ di mestizia, Parlotti noi lo avevamo visto vincere proprio qui a Modena nel marzo precedente.

E la canzone come è nata?
Nel 2016, per caso, trovai su youtube un vecchio servizio di Sky in cui il figlio e il fratello di Parlotti erano andati all’Isola di Man a mettere una targa nel 40° della sua morte e nella curva Verandah avevano trovato una croce con il suo nome messa da un anonimo. Da quel servizio venni a sapere che il figlio Paolo, che allora aveva otto anni, aveva imparato della morte del padre nello stesso momento in cui io sentivo la notizia al telegiornale. E’ li che ho scritto la canzone, mi è uscita di getto, e ho cominciato a proporla in qualche serata. Finché un giorno, spinto dalla mia attuale moglie, l’ho contattato e gli ho detto che avevo scritto una canzone su suo padre. Lui mi ha chiesto di mandargliela, l’ha fatta ascoltare a tutti i parenti, mi ha inviato a Trieste ed è nata una bellissima amicizia.

La canzone poi è arrivata a Trieste e a Zero Bianco…
Il 9 giugno dell’anno scorso, in occasione del cinquantenario della morte di Parlotti, il presidente del Moto Club Trieste ha invitato me e mia moglie a questa giornata in sua memoria. Io sono andato convinto di dover fare poco più di un atto di presenza. In realtà ho fatto diversi interventi tra cui quello al museo Revoltella mentre andava sullo schermo la mia canzone. Il tutto con davanti la moto di Parlotti, quella dell’ultima corsa all’Isola di Man. Il 17 settembre, poi, il comune di Zero Branco ha organizzato una bellissima serata in sua memoria e io sono stato invitato assieme al mio chitarrista Simone Arletti e l’ho cantata davanti ad una piazza gremita, mentre su un pannello di fianco a noi scorreva il testo e si dipingeva di rosso.

E dopo?
Con tutti i parenti di Parlotti, sia quelli triestini che quelli di Zero Branco, è nata una grande amicizia. Pensa che suo fratello minore, che ai tempi della tragedia aveva 16 anni, mi ha preso da parte e mi ha detto ‘Alessandro, tu da questo momento fai parte della nostra famiglia’. Un’emozione incredibile.

di Giovanni Botti

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