La scuola… una vera avventura: l’intervista alla scrittrice esordiente Erika Lucadamo

Il mondo della scuola, i suoi personaggi, i suoi clichè e le difficoltà di una giovane insegnante che si cala per la prima volta in questa realtà come una vera e propria Wonder Woman. E’ quello che racconta con ironia la modenese Erika Lucadamo nel suo libro d’esordio intitolato “Come sopravvivere alla prima supplenza”, edito da Artestampa. “Non sono partita con l’idea di scrivere un libro – racconta Erika – semplicemente nei primi periodi da insegnante mi era utile mettere giù ciò che veniva fuori in quelle giornate, anche per vedere le cose con un po’ più di distacco. Nonostante l’ironia e i sorrisi che possono nascere guardandosi indietro, i primi mesi/anni sono faticosissimi se non addirittura drammatici, anche per una persona determinata, con una forte motivazione e una buona preparazione e che crede nel valore di questo mestiere”.

Erika, da cosa dipendono queste difficoltà che si hanno agli inizi? Dai ragazzi, dai genitori, dal sistema scuola?
Credo che certe difficoltà, all’inizio, le abbiano tutti e il mestiere di insegnante richiederebbe, probabilmente, qualche anno di affiancamento con qualcuno di più esperto, per imparare bene tutta la routine della scuola, dalla correzione dei compiti, alla gestione del non rispetto delle regole e della conseguente punizione. A Scienze della Formazione, oggi, si fanno dei periodi di stage con una sorta di tutoraggio. I ragazzi all’inizio ti studiano e capiscono quasi subito qual è il tuo punto debole, così provano ad avere la meglio su di te: c’è chi non vuole far il compito, chi copia durante la verifica, chi parlotta continuamente e, se non la stoppi subito, diventa una situazione generalizzata. E’ un’esperienza che è capitata a tutti all’inizio, poi ci prendi le misure, acquisisci sicurezza e anche loro lo capiscono. Nel libro c’è un personaggio, il Sergente di Ferro, quello che tutti temono e rispettano, che a un certo punto si lascia sfuggire come confidenza che anche lui, i primi tempi, aveva vissuto la stessa situazione.

Quindi i protagonisti del libro sono caricature di personaggi reali…
Si esatto, la loro caratteristica principale diventa una tipizzazzione di questo o quel personaggio. Il Sergente di Ferro, come dicevo, è quello rispettato da tutti che prende la protagonista un po’ sotto la sua ala protettiva, visto che lei, come molti all’inizio, parte sprovveduta.

Com’è la struttura del libro?
Ci sono diversi capitoli con un filo conduttore comune che è il racconto di un anno scolastico dall’inizio alla fine. In realtà gli spunti e le idee sono venute non da un solo anno, ma da più di uno, visto che a scrivere il libro ci ho impiegato molto più tempo.

Come hai iniziato a insegnare?
Ho iniziato quasi per caso. Prima ho lavorato sei o sette anni in un’azienda, quella in cui avevo fatto una stage per l’università, con contratto a tempo indeterminato. Poi a un certo punto mi sono accorta che mi annoiavo, che facevo sempre le stesse cose, e se mi pensavo dopo 10 o 20 anni non mi vedevo a lavorare ancora lì o in un’altra azienda. Quindi, dopo un periodo un po’ di confusione, ho cominciato a seguire la trafila per l’insegnamento, a partecipare ai concorsi e ai tirocini. Insomma si è messo un po’ tutto in fila e dopo qualche anno sono riuscita ad entrare di ruolo.

Ci sveli qualche aneddotto divertente del tuo racconto?
Beh, ci sono dei personaggi il cui nome è tutto un programma e a cui, secondo me, si finisce per affezionarsi. Ad esempio c’è uno studente che è soltano una nuca, visto che dall’inizio alla fine dell’anno dorme sul banco. La protagonista ha il dubbio se porti o meno gli occhiali, non avendolo mai visto in faccia. Alla fine ci sono uno o due episodi in cui finalmente si alza e lei scioglie il mistero di questi occhiali. Prima o poi capita un po’ a tutti di trovarne uno, soprattutto alle superiori.

La sopravvivenza di cui parli nel titolo, quindi, è legata all’affrontare le situazioni con ironia?
L’ironia sicuramente serve, io la uso tanto anche con i ragazzi e mi rendo conto che la capiscono. La protagonista però un’altra strategia la prova ed è quella di sperimentare cose nuove, di spiazzare i ragazzi. Provare qualcosa di diverso penso sia fondamentale in questo mestiere, anche se può essere rischioso perchè si lascia ciò che si conosce bene per qualcosa che non si sa come andrà a finire.

A chi ti rivolgi con questo libro?
All’inizio soprattutto agli insegnanti, possiamo quasi dire con un messaggio di speranza, quello che, nonostante le difficoltà dei primi tempi, ce la si può fare. Ma credo che possa essere divertente anche per altre persone. La scuola l’hanno vissuta tutti, gli aneddoti di quel periodo si continuano a raccontare negli anni e ci si ricorda di quella supplente o di quel professore.

Hai già programmato qualche presentazione?
Si, la prima sarà sabato 16 novembre alla libreria Ubik.

 

di Giovanni Botti

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