Virus, vaccini e cure, a che punto siamo? Ne parliamo con il prof Cossarizza

(foto AUSL Modena)

Lo stato di emergenza ha i giorni contati, è in scadenza il 31 marzo. Le misure restrittive, incluse le regole sul green pass, stanno per cambiare in vista di una graduale riapertura. Diamo uno sguardo a quanto sta accadendo insieme al Professor Andrea Cossarizza, docente di Patologia Generale e Immunologia a Unimore.
I contagi risalgono ma l’impatto sugli ospedali è lieve, il virus ci dà tregua?
No, non è una tregua concessa dal virus ma un grande successo della campagna vaccinale. Con una variante contagiosa come Omicron, senza vaccini un anno fa la situazione sarebbe stata molto peggiore. I ricercatori oggi parlano di un 50% in più di contagiosità di Omicron (e delle sue varianti) rispetto alle precedenti, mentre sulla gravità dei sintomi è difficile dire qualcosa di definitivo, perché oggi le persone sono protette da vaccini. Però abbiamo ancora un certo numero di decessi, per cui il virus rimane molto pericoloso.
A giorni cambieranno le regole sul green pass. Dal punto di vista sociale, economico e, aggiungerei, psicologico, era una decisione non più rimandabile. Dal punto di vista sanitario è sostenibile?
È difficile rispondere. Se aumentano i contagi, aumentano le persone in quarantena, con ripercussioni a livello economico e sociale. Non entro nel merito delle decisioni politiche o economiche, ma dal punto di vista medico posso dire che la pandemia non è ancora finita e che dobbiamo continuare a gestirla nel migliore dei modi. Allentando le misure di contenimento, è ovvio che ci saranno più contagi. Ci sono meno problemi negli ospedali, anche se ci possono essere rallentamenti di alcune attività, perché la grande maggioranza delle persone è vaccinata.
Sulla base dei dati scientifici, è possibile fare un’ipotesi su quel che ci attende in autunno? Quale vaccino con quale frequenza? Ne avremo uno per più varianti?
Fare previsioni è molto difficile. Quello che posso dire è che ora diverse aziende stanno pensando sia a vaccini mirati per Omicron, sia a vaccini che coprano più varianti. Sapere quanto queste soluzioni funzioneranno, è una cosa che scopriremo in seguito. Possiamo essere ottimisti oggi nella misura in cui abbiamo visto che un vaccino preparato sul primo ceppo di SARS-CoV-2, sequenziato due anni fa, è ancora molto efficace nel proteggere dalla malattia provocata da una variante come Omicron. E’ lecito aspettarsi che un vaccino mirato su Omicron possa funzionare anche in futuro contro altre varianti. Ma fare ipotesi, è molto complesso perché non possiamo sapere se Omicron si ricombinerà con un altro Coronavirus (come ha già fatto con Delta, formando la variante Deltacron), se avrà mutazioni meno aggressive.
Uscendo dal suo ambito specifico, sul fronte dei farmaci siamo a buon punto?
Avere a disposizione farmaci antivirali mirati sul SARS-CoV-2 e anticorpi monoclonali, alcuni dei quali funzionano ancora bene contro Omicron, è un gran passo in avanti. Questi farmaci sono in grado di bloccare efficacemente la progressione dell’infezione, e sono un’arma straordinaria che prima non avevamo. La terapia ha fatto progressi veramente notevoli, e rimangono comunque valide, nelle forme lievi, le note indicazioni sull’uso di antiinfiammatori e sul monitoraggio della saturazione di ossigeno.
Il vaccino Novavax in cosa si differenzia da quelli a RNA messaggero o DNA? Perché dovrebbe convincere chi ancora non si è vaccinato?
Era difficile convincere chi non voleva vaccinarsi persino quando morivano migliaia di persone ed è ancora molto difficile far capire a queste persone che è la loro vita che ci va di mezzo… Novavax è basato sulla proteina Spike, non insegna al nostro organismo a produrre la proteina (come fanno i vaccini a DNA o a mRNA) ma la fornisce già pronta. All’atto pratico non c’è differenza, si producono sempre anticorpi contro la Spike. E’ come ordinare una pizza a casa: se la portano usando la bicicletta o la moto, alla fine la pizza è la stessa, cambia il modo di trasportarla.
Novavax si basa su una tecnologia più consolidata rispetto a quella dei nuovi vaccini, questo avrebbe dovuto convincere gli indecisi?
Sì, avrebbe dovuto farlo. Va anche detto che, in realtà, i vaccini a DNA e mRNA sono allo studio da oltre 25 anni. Io stesso sono andato al primo meeting sulla vaccinazione a DNA per i tumori a Washington nel 1996. Queste tecnologie sono state sviluppate con una velocità incredibile negli ultimi anni ma sono allo studio, appunto, da più di due decenni.

di Patrizia Palladino

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