Vignola: al Teatro Fabbri ecco “Mistero Buffo” di Dario Fo, interpretato da Matthias Martelli

Era il 1° ottobre del 1969 quando Dario Fo ha debuttato con la prima versione di quello che sarebbe diventato uno spettacolo storico del teatro di narrazione, “Mistero Buffo”. Un lavoro che ha consegnato il nome dell’artista alla storia, così come recita la motivazione del Premio Nobel attribuitogli nel 1997: “A Dario Fo… che nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati“.

Sul palco del Teatro Ermanno Fabbri di Vignola sabato 4 marzo alle 20.30 Matthias Martelli, vincitore dei premi Alberto Sordi, Locomix, Uanmensciò e del Premio Nazionale di CulturaFrontino-Montefeltro, riporta in vita il grande lascito teatrale, politico e culturale di Dario Fo e rende omaggio al regista Eugenio Allegri scomparso nel 2022.

Io e Matthias abbiamo fatto un patto – haraccontato Allegri – il Mistero Buffosarebbe stato lo stesso che avevo visto interpretare da Dario Fo, a Torino, nel1974, nell’Aula Magna della Facoltà di Lettere, a Palazzo Nuovo. Con quelle stesse “giullarate” e con quella stessa veemenza artistica“.

Un atto unico composto da monologhi di ispirazione religiosa, riproposti in chiave fortemente satirica, concepito in una lingua inventata e onomatopeica, di ispirazione medievale e mescolata con i dialetti padani: il grammelot, un’invenzione di straordinaria potenza teatrale. L’opera ebbe un successo popolare enorme, fu replicata migliaia di volte (persino negli stadi) e conta numerose differenti versioni e integrazioni. Un atto di ribellione, untesto all’epoca “sovversivo”, un modello di satira politica che non smette ditrascinare le platee.

Solo in scena, Martelli passa dal comico alla poesia, fino alla tragedia umana e sociale, con un’ironia che tocca in chiave buffonesca, come nelle intenzioni di Fo, le storture del nostro tempo. “Mistero Buffo” affonda le sue radici in una forma di teatro che, attraverso la lingua corporale ricostruita con il suono, con le onomatopee, con scarti improvvisi di ritmo, con la mimica e la gestualità spiccata dell’attore, passa continuamente dalla narrazione all’interpretazione dei personaggi, trasformandoli all’occorrenza dal servo al padrone, dal povero al ricco, dal santo al furfante, per riprodurre sentimenti, reazioni, relazioni.

Il lavoro per questa riedizione di alcune delle più celebri “giullarate”, non è quindi il risultato di una ricerca astratta sulla cultura popolare nel Medioevo, ma è la possibilità di ritrovare una nuova visione del mondo: quella della storia fatta dal popolo. Attraverso la voce del giullare, il popolo parla direttamente in opposizione alla storia ufficiale, demistificando il sacro e il potere, utilizzando l’arma del riso edel grottesco.

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