È una storia di coraggio, ostinazione e orizzonti lunghi quella della compagnia Peso Specifico Teatro che in piena pandemia realizza il sogno di un piccolo borgo delle arti, inteso come luogo di formazione, produzione e proposte culturali compresi eventi aperti al pubblico. Ma anche spazio educativo e di cura della persona. Si chiama Atelier, si trova alla Sacca in via Staffette Partigiane 9 e mette insieme la scuola di musica Euphonìa, il teatro di Peso Specifico e le stanze-studio di tre artisti di arti visive. Chiedo a Roberta Spaventa e Santo Marino (coppia nella professione e nella vita) di raccontare per brevi cenni la vicenda di Peso Specifico.
Quando siete partiti?
Nel 2009. L’anno dopo abbiamo preso in gestione il Teatro Tempio dove, per quattro anni, abbiamo investito molte energie. Anni intensi con una compagnia numerosa e tanti progetti di teatro partecipativo. Quindi siamo stati inizialmente ospiti e poi co-gestori di Trame, un piccolo spazio culturale dove abbiamo fatto corsi e prove, dedicandoci soprattutto alla formazione, lavorando anche con le scuole. L’esplodere del Covid ha esaurito quell’esperienza e, da aprile dello scorso anno, ci siamo messi alla ricerca di un nuovo spazio.
Come l’avete trovato?
Grazie a un contatto con Euphonìa, perché anche loro cercavano un nuovo spazio. Eccolo. Qui c’era un cocktail bar, il Twenty One, e sopra, dove ora noi abbiamo la sede, una scuola per barman. Tutto lasciato in stato di abbandono. Ci siamo rimboccati le maniche e a fine estate abbiamo lavorato a una ristrutturazione. Dobbiamo ringraziare tutti i nostri allievi che a rotazione ci hanno aiutato, ribaltando una situazione difficile. Ora questo è un luogo accogliente e di lavoro.
Il nome Atelier, da dove viene?
Viene da lontano. Ci pensavamo da molto tempo, entrambi. Non cercavamo un teatro da gestire, ma qualcosa di più aperto, uno spazio per pratiche teatrali integrate. Perché in realtà a noi interessa lavorare alla cura della persona e della comunità. Non solo teatro, quindi, ma anche altre pratiche per il benessere e la consapevolezza.
Per esempio?
Le danze sacre di Gurdjieff. Lo yoga. Pratiche che servono per la presenza dell’attore, ma anche di ognuno di noi.
Oltre alla musica ci sono tre artisti: chi sono?
Cesare Buffagni è fumettista e creatore di maschere, Elisa De Benedetti è un’illustratrice mentre Claudio Dagrezio è pittore e scenografo, con una passione per la street art. Con loro sono già partite collaborazioni progettuali. In “Vasilissa e la Baba Yaga”, la fiaba che abbiamo raccontato per il Teatro Comunale, gli oggetti di scena sono di Elisa, mentre Cesare sta collaborando al progetto “In gita con Dante”. È importante che questo luogo possa offrire sinergie interdisciplinari, in una dimensione quotidiana di lavoro e di incontro.
Quando pensate di presentare Atelier alla città?
Avremmo tanto voluto già inaugurarlo, ma evidentemente questo non è stato l’anno giusto. Ora puntiamo a realizzare una rassegna estiva, all’aperto, con modalità ancora tutte da stabilire. Di sicuro questo è un posto che offre caratteristiche importanti. Per esempio per il sostegno allo studio. Negli spazi in comune si possono fare i compiti, magari consultare la piccola biblioteca che vorremmo allestire.
Cosa via manca?
Il pubblico.
Quali sono i vostri progetti come compagnia?
Beh, di sicuro c’è Teatro Express. È partito a dicembre e ha avuto un exploit notevolissimo. L’idea di potare il teatro nei pianerottoli di persone ‘confinate’ si è rivelata vincente, tanto che anche i media nazionali ci hanno rincorso.
Come funziona?
C’è un solo attore, o un’attrice, senza mascherina, a distanza, che arriva a domicilio. Suona. Si apre la porta. A volte le persone rimangono sorprese, altre volte ti aspettano, sono preparati.
Cosa proponete?
Monologhi dal “Come vi piace” e dal “Romeo e Giulietta” di Shakespeare, oppure scritti da noi, anche fiabe, etc.
Come giudicate l’esperienza?
Bellissima: la gente ne aveva bisogno, di relazioni, di emozione. A fine rappresentazione, spesso le persone rimangono lì a parlare, a raccontare cose proprie: si genera uno scambio, a volte anche importante. Per noi è un progetto di welfare culturale e stiamo pensando di programmare vere e proprie residenze.
L’altro progetto è “In gita con Dante”: di che si tratta?
Nasce da una mancanza: il nostro lavoro con le scuole. Abbiamo pensato a cosa è mancato quest’anno agli studenti, soprattutto a quelli delle superiori. Oltre alla didattica in presenza, è saltata la tanto attesa gita. Allora proviamo a portarceli noi. Quest’anno sono 700 anni dalla morte di Dante, così realizziamo una docu-fiction che si svilupperà in tre città dantesche: Firenze, Ravenna e Verona. I protagonisti sono due teenager modenesi, e noi li seguiamo nel loro percorso di scoperta.
Info sulla la pagina Facebook “L’Atelier – arte musica teatro”.
(di Francesco Rossetti)