Coronavirus: è modenese un nuovo esame che può predire l’evoluzione della malattia

È stato studiato a Modena un nuovo esame di laboratorio chiamato MDW (Monocyte Distribution Width) che può predire l’evoluzione, della malattia COVID19 e dello stato iper-infiammatorio (‘cytokine storm’) che la caratterizza. Questo esame si basa sull’analisi della morfologia dei monociti, cioè una specifica popolazione di cellule presenti nel sangue. Lo studio è frutto della collaborazione tra l’Azienda USL di Modena (con il Dipartimento di Medicina di Laboratorio e Anatomia Patologica  e in particolare, il Laboratorio di Medicina di Laboratorio dell’Ospedale Civile di Baggiovara), l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena (con l’Anestesia e Rianimazione del Policlinico, diretta dal prof. Massimo Girardis, l’Ematologia diretta dal prof. Mario Luppi, le Malattie Infettive, diretta dalla prof.ssa Cristina Mussini) e UNIMORE (con il team di ricercatori diretto dal prof. Andrea Cossarizza).

Quando vi è uno stimolo prodotto dell’attivazione del sistema immunitario, come nel caso di infezioni sia batteriche che virali, si modifica la morfologia dei monociti. Con le nuove apparecchiature a disposizione siamo in grado di misurare in laboratorio l’entità di queste alterazioni cellulari – Ha spiegato il dottor Tommaso Trenti, Direttore del Dipartimento Interaziendale di Medicina di Laboratorio  – Nel lavoro pubblicato si è descritto per la prima volta il significato biologico ed il ruolo prognostico di questo nuovo parametro ematologico chiamato appunto MDW nel monitoraggio di pazienti COVID-19 ospedalizzati utilizzato come innovativo biomarcatore utile per la diagnosi precoce di sepsi virale ovvero di grave infezione”.

Lo studio è stato pubblicato sul numero di giugno della prestigiosa rivista internazionale Scientific Reports del Nature Publishing Group e ha dimostrato, per la prima volta, come il valore dell’MDW, in pazienti COVID-19 seguiti durante il ricovero in reparti di terapia intensiva e subintensiva, sia correlato significativamente con la gravità e l’andamento clinico della malattia. Sintetizza il dottor Giovanni Riva, che lavora nel team e nel laboratorio di Ematologia Diagnostica e Genomica Clinica del prof. Enrico Tagliafico: “Si tratta di un esame prognostico di ‘sepsi virale’ oltre che batterica, come in effetti può essere considerato il COVID-19 nella sua forma clinica più grave come già ipotizzato in precedenti lavori svolti sempre a Modena e già pubblicati.

Nei nostri pazienti – ha aggiunto il prof. Massimo Girardis, direttore della Terapia intensiva del Policlinico – abbiamo riscontrato come alti valori di MDW si associno ad una elevata mortalità, con picchi di oltre il 35%. Viceversa, bassi valori individuano i pazienti che hanno forti probabilità di guarire”.

 “Questo esame – precisa il prof. Andrea Cossarizza di UNIMORE – rappresenta un importante nuovo biomarcatore. Ad oggi abbiamo in corso ulteriori ricerche che ci consentiranno di meglio definire il valore e le applicazioni cliniche di nuovi esami di laboratorio quale emergenti marcatori d’infiammazione utile a predire valutando sia lo stato immunologico sia l’aggravamento dei pazienti sia la fisiopatologia del COVID19 per utilizzare precocemente le cure più appropriate a disposizione

Lo studio ha preso in considerazione una serie di 87 pazienti ricoverati per COVID-19 presso i reparti di cura intensiva e subintensiva, nei quali MDW è risultato essere correlato in modo altamente significativo con alcuni classici biomarcatori di infiammazione, con l’esito delle cure (outcome) e il decorso clinico e la gravità della malattia.

L’MDW – aggiunge il prof. Mario Luppi, Direttore dell’Ematologia – rappresenta quindi un biomarcatore innovativo perché basato sull’analisi di cellule, quindi diverso dai biomarcatori infiammatori convenzionali che misurano i livelli plasmatici di proteine pro-infiammatorie”.

L’utilizzo di nuovi marcatori prognostici – commenta la prof.ssa Cristina Mussiniconsente di migliorare la gestione clinica dei pazienti affetti da COVID-19, guidandoci in particolare nel trattamento con i farmaci più approriati. Questo studio è un ulteriore tassello che ci consente di comprendere meglio questa patologia che solo un anno fa era nuova e sconosciuta.”

E’ importante sottolineare – ha concluso il dottor Tommaso Trenti assieme al prof. Enrico Tagliafico – da un lato il fatto che l’esame sarà presto fruibile inserito nella routine clinica dei nostri laboratori di tutta l’area modenese dell’Azienda Ospedaliera Universitaria e dell’Ausl per tutti i pazienti che ne hanno necessità e dall’altro l’importante ruolo svolto dai giovani Colleghi nella ricerca pubblicata che ha coinvolto diverse aree specialistiche cliniche e laboratoristiche.

 

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