Curtis Harding – “If Words Were Flowers”
Curtis Harding, classe 1979, è assieme a Michael Kiwanuka il più interessante rappresentante del nuovo corso del soul emerso negli anni 2010. La sua principale fonte di ispirazione, come del resto quella di Kiwanuka, è il soul di inizio anni ‘70, in particolare quello psichedelico e urbano della Motown e di artisti come Marvin Gaye, Curtis Mayfield e i Temptations quando erano prodotti da Norman Whitfield. Modelli che, però, ha aggiornato ai tempi attuali, con spunti hip hop, un genere da lui affrontato già nei primi anni 2000 con i Proseed, ma anche gospel e garage-rock.
Il terzo album del musicista del Michigan è probabilmente quello della sua maturità artistica e rappresenta un passo avanti rispetto ai comunque ottimi “Soul Power” (2015) e “Face Your Fear” (2017). Il titolo deriva da una frase che gli diceva sempre sua madre e che descriveva il regalare fiori come un atto d’amore e la title-track iniziale, con la raffinata orchestrazione e i cori in sottofondo, ricorda le colonne sonore dei Blaxploitation, i film polizieschi dei neri degli anni ‘70, nelle quali si sono cimentati quasi tutti i grandi della black music. L’amore, visto come una necessità per andare avanti in questi tempi cupi, è sicuramente uno dei temi più presenti nel disco come dimostrano ad esempio la ballata semi parlata “Where’s the Love”, arricchita dai fiati, o la fascinosa “With You”, aperta da una chitarra acustica a cui si aggiunge una base orchestrale prima del ritornello alla Curtis Mayfield che entra dentro immediatamente.
Non mancano comunque i brani a tematica sociale come la bellissima “Hopeful”, uno psichedelic-soul in stile Motown a cui Harding aggiunge un cantato rap nel quale rende omaggio agli afroamericani che hanno perso la vita per difendere i propri diritti, mentre la successiva “Can’t Hide It” resta sempre dalle parti della Motown con un’atmosfera figlia del Marvin Gaye dei primi settanta. Da segnalare anche la raffinata “So Low”, aperta da flauto e archi e con uno sviluppo molto moderno, e la conclusiva e intensa “I Won’t Let You Down”. Una bella conferma.
di Giovanni Botti