Il disco della settimana: ‘Native Sons’, il tributo a Los Angeles dei Los Lobos

Los Lobos – ‘Native Sons’

Anche se il loro dischi più importanti e famosi li hanno registrati tra gli anni ‘80 e ‘90, i Los Lobos hanno iniziato la loro carriera addirittura nel 1973 e sono quindi vicini al cinquantennale. E, cosa più unica che rara, hanno mantenuto la stessa formazione degli inizi, o perlomeno dell’inizio del loro periodo d’oro ai tempi dell’album “How Will The Wolf Survive” (1984). Quindi i membri fondatori David Hidalgo, Louie Perez, Cesar Rosas e Conrad Lozano e il tastierista e sassofonista Steve Berlin, entrato nella band proprio nel 1984. Il 17° album in studio dei Lupi, il primo negli ultimi sei anni (“Gates of Gold” è uscito nel 2015, ma bisogna ricordare che in mezzo c’è stato un interessante disco natalizio come “Llego Navidad”), è un vero e proprio omaggio alla loro città, Los Angeles, e alla sua musica.

“Native Sons”, questo il titolo, è il primo disco di Hidalgo e soci composto quasi integralmente da cover e le canzoni interpretate sono tutte di musicisti della “città degli angeli”. La cosa più interessante è che i Los Lobos non si sono affidati solo a brani famosi, ma hanno puntato anche su chicche meno note al grande pubblico e il risultato è un disco fresco, intrigante, che porta alla ribalta diversi ambiti della musica losangelena. Tra le tredici canzoni che compongono “Native Sons” c’è anche un brano originale scritto per l’occasione. Si tratta della stessa title-track, posta proprio al centro dell’album, un’intensa soul-ballad tipica dei Lobos che riporta alla mente certi episodi di “Good Morning Atzlan”, forse l’ultimo, vero, grande disco della band. Tra le cover più note ricordiamo “Jamaica Say You Will” di Jackson Browne, riproposta in una versione fedele all’originale, ma anche il grintoso medley omaggio ai Buffalo Springfield “Bluebird/For What it’s Worth”.

I momenti migliori però sono altri, ad esempio la trascinante versione di “The World is The Ghetto” dei War, oltre otto minuti di creatività, o il brillante rock in stile sixties dell’iniziale “Love Special Delivery”, successo dei Thee Midnighters. Da segnalare anche il boogie-rock “Farmer John” dei Premieres, già rifatto in passato da Neil Young con un approccio molto diverso, e i ritmi latini di “Los Chucos Suaves” di Lalo Guerrero, ma è tutto l’album a scorrere via che è un piacere e a far venire la voglia di riascoltarlo. Non un capolavoro, ma un gran bel disco.

di Giovanni Botti

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