‘La strana fine del venditore di case’: Claudio Gavioli e il suo nuovo romanzo giallo

Lorenzo Rossi, un agente immobiliare di successo, viene trovato morto sul cemento di un cavedio a Modena e a tutti sembra chiaro che si tratti di suicidio. A tutti meno uno, il suo socio ed amico Max Foschini, che inizia ad indagare per conto suo e arriva a scoprire aspetti della vita della vittima che nemmeno sospettava, entrando in una sorta di labirinto claustrofobico. Inizia così “La strana fine del venditore di case”, il nuovo romanzo di Claudio Gavioli, medico e scrittore modenese, edito da SEM, il primo di matrice gialla. “In realtà è un giallo un po’ atipico”, spiega Gavioli. “Innanzitutto l’investigatore non lo fa per professione, si improvvisa tale con tutti i rischi dell’improvvisazione. E poi c’è un nucleo importante della storia, che riguarda la madre del protagonista, che è emblematico della condizione degli anziani, della solitudine, delle difficoltà con le badanti e le case di riposo. Questo, aspetto, non ho nessuna difficoltà ad ammetterlo, ha una notevole impronta autobiografica”.

Claudio, “La strana fine del venditore di case” è il tuo ottavo romanzo. In passato avevi scritto altri gialli?
Solo uno, agli esordi, ma era più che altro un mezzo tentativo. La cosa importante di questo nuovo romanzo è il fatto che è stato pubblicato da una casa editrice nazionale come SEM, entrata a far parte da qualche mese del gruppo Feltrinelli. Per me si è trattato di un salto triplo rispetto alle case editrici medio-piccole con cui avevo lavorato prima, anche se con alcune, in particolare le due modenesi Artestampa e Incontri di Sassuolo, ho avuto e ho tuttora rapporti eccellenti.

Anche nel protagonista del romanzo c’è qualcosa di autobiografico?
Ma guarda, di solito dico che la parte sulla madre anziana è autobiografica e l’altra no. Io stesso infatti mi sono trovato in quella situazione, con una mamma molto anziana e in condizioni di non autonomia e ho dovuto affrontare il calvario delle badanti, visto che ne ha ‘fatte fuori’ cinque in un anno, e successivamente della casa di riposo. In realtà chi mi conosce e ha letto il romanzo dice che anche nel protagonista c’è qualcosa di me. Gesualdo Bufalino, in “Diceria dell’untore”, diceva che ‘i personaggi sono sempre la controfigura dell’autore’ e probabilmente in questa affermazione qualcosa di vero c’è.

Modena, nel tuo romanzo, è soltanto uno sfondo o è anche protagonista?
Pur non avendola descritta in modo ossessivo come hanno fatto altri colleghi e amici, credo che sia chiaramente connotata da vie, strade e piazze. E’ dipinta un po’ a tratti, senza entrare troppo nel particolare. La mia storia poi è stata sicuramente influenzata dal processo Aemilia, che mi ha colpito molto perché dimostra come anche città come Modena, Reggio e Parma, da molti prese a modello, dietro alle vetrine luccicanti presentano diverse zone d’ombra.

E il tuo mestiere di medico influenza la tua attività di scrittore?
Si molto, io penso di essere un medico che ascolta le persone e mi capita spesso che pazienti che vengono da me per un problema articolare – mi occupo di fisioterapia e riabilitazione – una volta in ambulatorio abbiano voglia di aprirsi. Quindi alla fine vengo a conoscenza di storie e situazioni che in certi casi mi forniscono degli spunti. Ovviamente non metto in scena le vite dei miei pazienti, ci mancherebbe altro, però queste mi possono far venire delle idee.

Il tuo stile di scrittura come lo descriveresti?
Ma, intanto negli anni si è evoluto molto. La mia tende ad essere una scrittura abbastanza asciutta, non mi piace sprecare troppi aggettivi o avverbi, vado dritto al sodo con periodi non lunghissimi. Se fossi un batterista si potrebbe parlare di un ritmo sincopato. Per quanto riguarda la struttura narrativa il mio modello di riferimento è uno scrittore americano della IIª metà del ‘900 che si chiama Ed McBain, quello delle storie dell’87° distretto. Lui prende i vari personaggi, li segue, poi li abbandona e li riprende finché alla fine le varie storie arrivano ad intersecarsi e ad avere uno sbocco comune.

La tua passione per musica e cinema è presente nei tuoi libri?
Credo proprio di si. Chi ha letto il libro mi ha detto che è molto cinematografico e potrebbe essere facilmente trasformato in sceneggiatura. Anche la musica è presente. Tra le altre cose c’è una citazione di Leonard Cohen, che ritengo molto bella, che dice “ogni cosa ha una crepa e da li entra la luce”.

Per chiudere quest’estate hai in programma qualche presentazione?
Assolutamente si. Il 2 luglio, ad esempio, sono a San Cesario, a Villa Boschetti. Poi dovrei andare a Lama Mocogno, a Pavullo, a Parma e a settembre anche a Torino.

di Giovanni Botti

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