Modena di Gusto: Rino Duca, uno chef tra alta cucina e impegno

Rino Duca (foto) è uno chef con mille interessi, oltreché una storia personale che unisce la natia Sicilia alla terra emiliana, dove vive e lavora da una trentina d’anni. All’alta qualità e alla creatività della sua cucina (per provare, basta recarsi nella sua Osteria “Il Grano di Pepe” a Ravarino, in via Roma 178/a) unisce un’instancabile attività come educatore, promotore di eventi e di iniziative di volontariato. Sabato 21 maggio è stato in una scuola media di Soliera per l’evento finale di “Appunti di cucina”, un originale percorso educativo con le bambine e i bambini dagli 11 ai 13 anni di età.

Rino, come ti sei trovato di nuovo alle medie?
Benissimo, perché ho condiviso da subito il progetto, abbinando lezioni di cucina a riflessioni su come si sta in una cucina: quali regole ci sono, il rispetto dei ruoli, la condivisione. Mi ha aiutato anche un bagaglio di competenze ed esperienze che mi porto dietro come educatore. Per un periodo ho lavorato al Ceis di Modena, ora sto tenendo un corso nel carcere di Bologna. Allo stesso tempo entrare in una scuola mi ha catapultato in un mondo di cui avevo rimosso le regole.

Per esempio?
Beh, il momento della ricreazione, il tempo scandito dalle campanelle, tutto il vocio, una serie di cose che mi hanno fatto fare un tuffo nel tempo.

Immagino che i bambini fossero entusiasti…
Sì, ma io sono enormemente facilitato quando tengo lezioni perché alla fine della lezione si mangia. Questo è un premio fortissimo. Chi partecipa ha subito un riscontro appagante. In più è sempre una scoperta quando vedi che una ricetta passa dallo scritto alla pratica, all’effettiva realizzazione.

Come si capisce se qualcuno è più portato di un altro?
Noti subito chi ha una predisposizione alla manualità che deriva spesso dal contesto familiare. Le bambine sono mediamente più portate. Ma c’è un altro dato che voglio sottolineare. Ci sono ragazzi che magari non sono bravi in alcune materie: ecco, in cucina questo gap si compensa. In cucina sei uguale agli altri e te la vivi bene. In termini di autostima è importante. Anch’io da ragazzino ero mediocre alle medie. Se guadagnavo un sei era una conquista. Fare un lavoro che mi mettesse in gioco con la manualità mi ha salvato.

Fare il cuoco oggi è una moda?

È vero, è una figura che piace. La giacca da cuoco attira molto. Non so se è un bene. Ha dato visibilità a questo lavoro, ma ha creato moltissime aspettative. Un boom di iscrizioni alle scuole, ma poi quelli che vanno avanti in questo mestiere sono in pochi.

Quali sono le caratteristiche imprescindibili di un cuoco?

Ne scelgo due: la curiosità e la disciplina. Il cibo è vita, dare cibo agli altri è un messaggio fortissimo, seduttivo, ben diverso da girare un bullone, con tutto il rispetto per altre professionalità. C’è sempre una speciale gratitudine per chi ti fa da mangiare. Però devi rinunciare a molto. Se sei un ragazzo il sabato sera lavori duro, esci fuori quando gli altri sono già andati a letto. Il talento puoi averlo, ma se non lo coltivi… Devi poter replicare il tuo piatto in condizioni estreme, mentre cucini tre risotti, due frittate, un dolce. Devi poterlo fare bene cucinando per 50 persone o per una sola.

Sei stato in Ucraina recentemente, vero?
Sì, a portare aiuti con l’associazione Time4Life di Modena. Siamo arrivati al confine tra Romania e Ucraina. Un’esperienza molto toccante, emotivamente. La stessa Romania è un paese che spesso banalizziamo, invece ha un forte legame culturale con l’Italia. È stato come aprire uno squarcio su una realtà di cui sappiamo poco. Mi sono sentito come il salmone che risale il fiume. Ho scoperto la dignità di persone che hanno fatto un percorso di immigrazione qui in Italia. Anch’io ventenne, in fondo, sono arrivato qui con la valigia con lo spago, in senso figurato, e mi sono sentito straniero. Non mi tirerei indietro se potessi mettermi al servizio in una scuola di cucina in quei territori.

Del resto anche con il piatto dedicato a Rocco Chinnici, hai testimoniato una sensibilità civile rara…
Per me è stato naturale. Anche noi cuochi, come tutti, siamo il frutto della storia che abbiamo vissuto. A 15-16 anni scendevo in piazza a Palermo a manifestare contro la mafia. Queste cose mi sono rimaste addosso. Allora mi sono chiesto cosa potessi fare nel mio piccolo per ricordare Chinnici. E ho fatto quello che so fare meglio.

di Francesco Rossetti

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