Noi, superstiti in un futuro lontano: l’intervista a Fabrizio Monari, autore della trilogia “Pangea. L’ultima era dell’uomo”

Sopravvivenza, Evoluzione, Estinzione: tre titoli lapidari, quasi delle sentenze, per la trilogia “Pangea. L’ultima era dell’uomo” che il modenese Fabrizio Monari (foto), giornalista radiotelevisivo e scrittore, ha completato per l’editore Damster. Un romanzo di fantascienza dentro a uno scenario post-apocalittico che inevitabilmente pone domande anche sull’oggi, sui nostri stili di vita.

Fabrizio, come ha preso forma il romanzo?
La molla iniziale è stata la famigerata profezia dei Maya secondo cui nel 2012 il mondo sarebbe dovuto finire. In quei mesi tornò prepotentemente in voga una retorica tipica dell’Arca di Noè: l’uomo commette tali e tante nefandezze che a un certo punto arriva dall’alto una sorta di punizione che ripulisce il mondo e lo restituisce in mano ai buoni e ai giusti. A me questa idea che la fine del mondo non dipendesse da noi dava fastidio. Così ho voluto scrivere una storia che fosse veramente post-apocalittica, a danno compiuto”.

C’è stata anche una molla visiva, vero?
Sì, un’ulteriore scintilla è scoccata con “Caino”, il quadro di Fernand Cormon esposto al Musée d’Orsay di Parigi. Caino è ritratto come un uomo delle caverne che vaga nel deserto insieme alla sua progenie affamata e assetata. Questa immagine mi ha dato la misura visiva di come dovessero essere i superstiti del mio romanzo, l’ultimissimo avamposto dell’umanità in un mondo che ha superato il punto di non ritorno”.

Perché una trilogia?
Perché il romanzo è nato in tre parti, anche se l’ho scritto tutto insieme, di getto, nei ritagli di tempo. Scegliere di pubblicarli uno alla volta è derivato dal mio spirito autocritico: non volevo sottoporre 300 pagine alla prima persona che avrebbe letto qualcosa di mio, preferivo offrire qualcosa di più breve per lettori che non dovessero investirci troppo tempo. Poi però, chi ha cominciato a leggere il primo volume, ha detto che avrebbe proseguito volentieri. Per questo ora, con l’editore, promuoviamo il cofanetto intero”.

Distopico è un aggettivo che si può collegare al tuo romanzo?
Bisognerebbe capire se è distopico oppure no. Io mi sono immaginato questa catastrofe molto lontana nel tempo. Penso che noi avremmo innumerevoli occasioni per redimerci rispetto a condotte sconsiderate per la sopravvivenza del pianeta”.

Sei un giornalista a tutto campo: segui anche le vicende ambientali, per esempio Cop26 a Glasgow?
Me ne occupo per lavoro, e anche come privato cittadino e essere umano. Sono anche un assiduo divoratore di documentari. Di recente ho visto il testamento documentaristico di sir David Attenborough che spiega come fino agli anni ‘80 del secolo scorso la nostra presenza sulla terra fosse ancora sostenibile, poi si è profilata una linea di non ritorno molto più vicina di quello che crediamo”.

Linea di non ritorno legata alla crisi climatica?
Il termine che mi interessa di più è ‘consumo’. Noi viviamo in un mondo che consuma voracemente; io volevo invece descrivere un mondo in cui tutto va centellinato per sopravvivere. Non c’è rimasto più nulla da consumare: mancano cibo e acqua, non ci sono materie da trasformare, né le energie necessarie per trasformarle”.

I tuoi riferimenti letterari? O anche legati al cinema e ai graphic novel?
Da adolescente sono stato un vorace divoratore di fumetti, soprattutto giapponesi. Ma anche quelli di Silver e Bonfa, tra Lupo Alberto e Cattivik. Anzi molti dicono che nella vita rido e scherzo, ma sulla pagina non c’è un briciolo di ironia. Sono anche un fan di Stephen King, uno dei più grandi, ma anche più sottovalutati scrittori contemporanei. Guardo al cinema i colossal catastrofici, pur giudicandoli spesso ipocriti. Amo la fantascienza, anche se oramai è rarissima. Un’amica mi ha detto: “tu devi aver letto “La strada” di Cormac McCarthy”. L’ho poi letto e ho capito che se “Pangea” può sembrare un libro spaventoso, in confronto a “La strada” di McCarthy è una favola per bambini. Tuttavia sì, ci ho riscontrato delle analogie”.

Qual è il lettore ideale per Pangea?
Non so, il genere fantascienza in Italia interessa una nicchia molto ristretta di lettori. La cosa bella è che ho avuto lettori che dicevano a priori: “credo che non sia il mio genere” e che invece ne sono rimasti coinvolti in pieno. Io vorrei solo che su- scitasse reazioni forti”.

Che tipo di scrittura hai utilizzato?
Nel mio lavoro indugio nelle descrizioni. Qui invece ho voluto essere molto asciutto: descrizioni secche e brevi per immede- simarmi in un mondo desolato. Anche i dialoghi. C’è un popolo sfinito continuamente in marcia in uno scenario inospitale, che non può amare moltissimo far chiacchiere”.

Pangea. L’ultima era dell’uomo” si può acquistare nelle piattaforme digitali (Amazon, librisumisura.it) e in diverse librerie (Feltrinelli, Feltrinelli Village, San Paolo, etc).

 

di Francesco Rossetti

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