Ricky Portera, il nuovo album di un musicista libero e controcorrente

Sarà anche un “grande figlio di puttana”, come recita il celebre pezzo che Lucio Dalla (il testo) scrisse pensando a lui, ma Ricky Portera è anzitutto un artista libero, un musicista che difende la sua totale autonomia dal mondo discografico. A giorni esce il suo nuovo album dal titolo folgorante “Perché io sò io… e voi non siete un cazzo” (nella foto, la copertina). Qualsiasi riferimento al Marchese del Grillo di sordiana memoria è voluto. Otto brani, tutti inediti.

Ricky, come sono nate le canzoni del nuovo album?
Le ho scritte nel periodo del lockdown più intenso. Eravamo costretti in casa: in un primo momento te la godi, mi sono consumato Netflix, Prime Video, Infinity+, dopodiché è venuta fuori una sorta di depressione, ti senti prigioniero di qualcosa che non riesci bene a identificare. Questa depressione si è trasformata in creatività, mi ha portato a scrivere di quello che provavo, soprattutto delle emozioni che pensavo provassero gli altri. Noi artisti siamo persone un po’ sgamate, viviamo molto di fantasia, di situazioni immaginarie, grazie al cielo è il nostro lavoro.

Il singolo è “Giorno normale”, già disponibile gratuitamente nelle piattaforme. A cosa ti riferivi?
Finito il lockdown sono uscito e sono andato a comprare il pane. Beh, ho provato un’emozione come quella che può provare un bimbo che porti al Luna Park per la prima volta. Non era niente di particolare, ma ho pensato che dovremo gratificarci solo per il fatto che ci svegliamo la mattina. “Giorno normale” è il racconto di come si può godere di qualcosa alla quale prima non si faceva caso.

Eppure non è semplice collegare un chitarrista rock a una vita ordinaria?
In effetti esiste una brutta parola che detesto: si chiama routine. In fondo sono uscito dagli Stadio proprio perché non accettavo lo status quo. Ma in fondo la routine esiste solo per gente che non sa guardare e ringraziare di ciò che ha.

L’album ha un titolo che non si dimentica: perché l’hai scelto?
Non è un’affermazione artistica, è qualcosa che dico umanamente. Perché mi sono reso conto di avere un valore umano che non cambierei con nessuno. Ti guardi intorno e vedi solo guerra, violenza, opportunismo, arrivismo, corsa al potere senza riguardi per nessuno. Io invece mi sento talmente elevato umanamente, perché nel mio piccolo sono una persona onesta, leale, che se può dare una mano si fa in quattro. Mi vanto di aver scritto dei testi per me importanti, mi sono messo a nudo. Devo ringraziare Beppe Aleo di Videoradio perché ha voluto fare subito il cd. Ma non voglio avere a che fare con case discografiche

C’è dietro un’idea di grande libertà…
Il fatto è che dopo aver fatto dischi con i più importanti artisti italiani – Lucio Dalla, De Gregori, Venditti, Finardi, Bertè, Morandi, ovviamente gli Stadio – c’è una parte di me che ancora non si sente all’altezza. E poi i miei dischi non sono quello che il mercato richiede. Mi sento un po’ fuori tempo, anche nella vita. Forse sarei vissuto meglio nel medioevo, oppure nel settecento, chissà.

I musicisti regalano un sacco di idee originali che vanno a finire in un disco, delle quali non rimangono autori. Quanto spesso accade?
L’artista e il produttore sono dei grandi spremilimoni con i musicisti. Ti dico: suona sul pezzo, ti fanno fare sette-otto take e poi prendono le frasi che gli piacciono di più. In “Anna e Marco” c’è una frase che ricorda “A Remark you Mad” dei Weather Report. Misi questa frase sotto il bridge e Lucio Dalla disse: accidenti, che bella idea! Dissi a Lucio: guarda che non possiamo usarla. Poi l’abbiamo solo rigirata un po’. In fondo capita spesso. La musica sono dodici note, gira e rigira vai a ricadere facilmente su cose già fatte.

Altri esempi?
In un pezzo del nuovo disco che si chiama “Vado via”, ho preso un richiamo da “We love you” degli Stones. Ma pensa anche a “Ogni volta” di Vasco Rossi: gli stessi accordi di “Primo giorno di primavera” dei Dik Dik, “Insieme” di Mina. E ancora “Dimentichiamoci questa città”, “Siamo solo noi”, “Colpa d’Alfredo” hanno tutte il giro armonico di “Sweet Jane” di Lou Reed.

Ricky, che rapporto hai con Modena?
Ho vissuto Modena in un periodo in cui era magica. Le ho dedicato un pezzo “Vicoli di Modena” che si trova nell’album “Fottili” (2014). Era un posto che ti dava tanto, a qualsiasi ora ti faceva avere degli incontri. Aveva il più alto numero di discoteche dove si faceva musica dal vivo, con una densità altissima di locali rispetto ad altre città. Poi è diventata la città dei fighetti. E nel frattempo ho cominciato a frequentare più Bologna, dove tutto era più professionale.

di Francesco Rossetti

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