Una storia noir tra basket e corse clandestine. Andrea Martina racconta il suo romanzo “Furia”

Mica facile crescere a Brindisi nel 1981, in un contesto di corse clandestine, contrabbando di sigarette all’ombra della criminalità organizzata e una passione divorante per la pallacanestro. A raccontare il destino contrastato di una famiglia – i fratelli Carmine e Teo e il padre Silvan – è Andrea Martina (nella foto) nel suo romanzo dal titolo “Furia”, appena uscito per 66thand2nd. Martina conosce bene quei luoghi e quelle storie, anche se non le ha vissute in prima persona. Da qualche anno si è trasferito a Modena e ora insegna alle scuole medie di Vignola. Giovedì 22 febbraio, alle 18, sarà alla libreria Ubik di Modena (via dei Tintori 22) per presentare il romanzo con la partecipazione dell’assessore alla Cultura Andrea Bortolamasi.

Andrea, perché ambientare la storia in quel particolare periodo?
Credo che il romanzo sia un atto d’amore alla terra dove sono nato e cresciuto, Brindisi e la sua provincia, in uno specifico periodo ancora molto vivo nelle memorie di chi l’ha vissuto. C’è un filo sottile che lega la storia del contrabbando di sigarette, che avevo in testa da tanti anni, e il basket. A Brindisi letteralmente si mangia pane e pallacanestro. È uno sport che ho praticato, conosco gli ambienti. Il 1981 è importante perché quell’anno per la prima volta nella sua storia la squadra di Brindisi fu promossa in A1.

Teo, il fratello più piccolo, gioca a basket e porta la maglia numero 12, come dodici sono i capitoli del libro. In questo senso il tuo è anche un romanzo di formazione, giusto?
Teo è ancora innocente. A 15 anni non sono ancora così chiari i confini del mondo. È un po’ lasciato a se stesso. Le sue figure di riferimento sono il padre, un meccanico che ha truccato per anni le auto dei contrabbandieri. Non a caso si chiama Silvan, come il mago. E l’allenatore, Camarda, che gli sta addosso per tenerlo lontano da brutte strade. La sua è una delle figure a cui sono più affezionato come autore. Ho avuto io stesso un allenatore così. La funzione sociale che hanno queste persone in alcune scuole di sport è determinante.

Il contrabbando era dilagante all’epoca, e tuttavia non così cruento come in altre zone…
Sì, a me interessava raccontare quel periodo prima che prendesse forma la Sacra Corona Unita, alzando il tiro della violenza. Le storie che sentivo da amici, radicate nella cultura del luogo, parlavano del contrabbando come un’attività dall’alone romantico, piratesco. Si diceva che il contrabbando fosse sempre meglio che andare a rubare. Non c’erano ancora i blindati bloccati, le sparatorie… sono arrivate dopo.

Carmine invece si dà alle corse clandestine, sognando un’alfetta…
Era decisamente l’auto dei contrabbandieri, uno status symbol di quegli anni. Ho sempre subito il fascino della velocità, per esempio leggendo vite di piloti. Forse il momento in cui ho deciso di scrivere questo libro è stato una sera quando un mio amico, che da ragazzino lavorava in un’officina, mi ha racconto di quando una sera arrivò una Bmw rubata turbodiesel e nel corso di una sola notte di lavoro, la trasformarono in una Bmw a benzina.

Il romanzo vive anche attorno al mito di Claudio Malagoli: chi è stato?
Un grandissimo cestista, un mito per Brindisi. Veniva chiamato “lupetto”. Era nato a Novellara, qua vicino. Faccio un parallelismo che può sembrare esagerato, ma non lo è. Malagoli a Brindisi è venerato come Maradona a Napoli. Il palazzetto dello sport è intitolato a lui.

Un altro campione di quegli fu Otis Howard…
Sì, americano, di colore, anche lui un eroe di quegli anni. Gli americani hanno sempre avuto un legame particolare con Brindisi, chiamandola la piccola Florida per una questione climatica, il caldo, il mare e anche per la sede Onu.

Il romanzo vive di un montaggio serrato che segue parallelamente le vicende dei personaggi: come l’hai costruito?
L’ho pensato davvero come un film, con dietro quella tradizione di film corali della New Hollywood anni ‘60 e ‘70. Ho cercato un equilibrio tra i personaggi e le loro storie che man mano si intrecciano. Sì, avevo in testa un ritmo molto cinematografico.

Tra le dediche mi ha colpito quella a Chris Cornell, ex leader dei Soundgarden: come mai?
Perché la sua musica è stata la colonna sonora quando scrivevo, mi ha aiutato molto a livello emotivo.

Il fatto di vivere a Modena, terra di motori, ha influito sulla creazione?
Mi è servito tantissimo, Modena peraltro viene citata anche nel libro. Questa cultura l’ho respirata fin dal primo giorno che sono arrivato, quando in piazza Roma ho trovato un’esposizione di Maserati d’epoca. All’inizio cercavo perfino casa a Maranello…

di Francesco Rossetti

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