“I miei primi mesi alla guida di Ert”: intervista al direttore Valter Malosti, in scena al Teatro Storchi

foto di Tommaso Le Pera.

Rispetto ai precedenti direttori di Ert (Pietro Valenti e Claudio Longhi), Valter Malosti è anche un attore. Lo vedremo in scena al Teatro Storchi dall’11 al 14 novembre per un’attesa restituzione teatrale del capolavoro di Primo Levi, “Se questo è un uomo”, di cui il neo direttore di Emilia Romagna Teatro è anche coautore e regista. Risponde alle nostre domande mentre è impegnato al Santa Cecilia di Roma con il direttore d’orchestra Philippe Herreweghe e il pianista Alexander Lonquich per una rilettura del “Sogno di una notte di mezza estate” tra i versi di Shakespeare e le note di Mendelssohn. Anche questo evento, che lo vede voce recitante, fa capire quanto per Malosti sia centrale la dimensione attoriale.

Direttore, a sei mesi dalla sua nomina, può dirci come si trova a Modena?
Adesso penserà che i miei siano complimenti legati alla posizione, ma mi sono trovato benissimo. Trovo che il livello delle esperienze culturali e artistiche di questa regione sia elevatissimo. Lo stesso posso dire quanto all’interlocuzione con le istituzioni politiche. C’è una tradizione, un interesse verso la cultura che non rilevo in altri luoghi. Non mi stupisce: l’Emilia Romagna è sempre stata guardata da noi artisti come una specie di terra promessa”.

Una realtà anche esigente?
Sì, infatti richiede da parte mia un grande investimento. C’è molto da fare, soprattutto rispetto alle nuove generazioni”.

Cosa ha fatto in questi primi mesi?
Ho ascoltato, ho cercato di capire in profondità la realtà di Emilia Romagna Teatro che è molto composita, ma con una sua anima precisa che vale la pena valorizzare ancora di più”.

Ert Teatro Nazionale, ma dalla vocazione internazionale: come va il rapporto con l’estero?
Stiamo investendo a lungo raggio. Il prossimo Festival Vie è previsto per l’ottobre 2022 e confidiamo, per allora, di poter avere un festival senza vincoli epidemici. Non solo ospitalità internazionali: sto lavorando anche sulla circuitazione delle compagnie italiane all’estero. Certo, ci vogliono anche gli artisti giusti, ma l’intenzione è disporre di un ampio panorama di produzioni nostre da promuovere oltre confine. Ci vuole tempo, un investimento non solo di energie, ma anche economico. Pippo Delbono è un esempio positivo di attenzione consolidata”.

E l’inizio di stagione allo Storchi, come va? Si percepisce una voglia di ripartenza anche nei consumi culturali?
Sì, da un lato intuisco questa voglia di partecipazione in presenza. Abbiamo chiuso l’ultima replica di “Lingua madre” all’Arena del Sole di Bologna con più di 700 spettatori. Cifre che non si vedevano da molto tempo. Anche lo Storchi registra numeri ottimi in platea. Eppure ci sono molte persone che hanno, comprensibilmente, ancora timore. Peraltro è appurato che i teatri siano tra i luoghi più sicuri e controllati dal punto di vista della protezione legata al Covid, ma non è ancora scontato sedersi fianco a fianco a qualcun altro. Tuttavia è questa vicinanza a restituire alla platea una vera dimensione teatrale di rito. Le faccio un esempio: lo scorso luglio, alla Corte d’onore del Palazzo dei Papi di Avignone, ho visto lo spettacolo di Tiago Rodrigues con Isabelle Huppert. Eravamo 2.000 persone una accanto all’altra. Un’emozione fortissima”.

Allo Storchi la vedremo in “Se questo è un uomo”: che tipo di spettacolo sarà?
È un progetto che arriva da molto lontano, è una decina d’anni che ci sto lavorando. Mi sono accorto da subito della potenza acustica di questo testo. Letto ad alta voce, “Se questo è un uomo” assomiglia a un grande poema. C’è una profonda oralità, un’incandescenza comunicativa contenuta dentro una scrittura asciutta, razionale. Lei pensi a quanta sofferenza ci sia sotto questo sforzo di rimanere lucidi. Sotto le frasi covano le braci della poesia; del resto il suo punto di riferimento è Dante”.

Le scene sono di Margherita Palli, storica collaboratrice di Luca Ronconi che, a sua volta, si è spesso misurato con capolavori letterari (il Pasticciaccio di Gadda, i Karamazov di Dostoevskij, Lolita di Nabokov)…
Ho lavorato sette anni con Ronconi. Avevo già una mia personalità, ma il fascino di quell’uomo era incredibile. Ci ha liberati dall’idea che il teatro debba essere per forza creato da materiale esclusivamente teatrale. D’altra parte in Levi c’è il narratore in prima persona, e un’incredibile varietà di toni, di stili: si passa dal pensiero filosofico a passaggi in presa diretta. La recitazione non è facile perché non si possono usare i soliti trucchi, bisogna restare un po’ indietro, lasciare le parole davanti…”.

A proposito di recitazione, lei presta molta attenzione alla formazione degli attori, giusto?
Sì, penso ad attori colti, intelligenti, cittadini consapevoli del proprio patrimonio culturale. Prevedo anche una collaborazione con il Centro Teatrale Santa Cristina”. Chiudiamo a Modena: quando sarà pronto il Teatro delle Passioni? “Non manca molto, siamo fiduciosi. Attendiamo con trepidazione”.

 

 

di Francesco Rossetti

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