Al Teatro Storchi Massimo Popolizio porta in scena Arthur Miller

Foto ERT

Un classico del ‘900 approda al Teatro Storchi dal 2 al 5 marzo (giovedì e venerdì ore 20.30, sabato ore 19 e domenica ore 16). È “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller, l’autore del celebre “Morte di un commesso viaggiatore”. La messinscena è firmata da Massimo Popolizio che si cimenta anche nel ruolo del protagonista, Eddie Carbone, al guida di un cast composto da Valentina Sperlì, Raffaele Esposito, Michele Nani, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Mavaracchio e Gabriele Brunelli. Ambientata tra gli immigrati siciliani a Brooklyn (da lì il riferimento al ponte che lo collega con Manhattan), la pièce ha l’ambizione di fornire un grande affresco sociale. A lungo attore per Luca Ronconi, Popolizio lo dirige e lo interpreta confrontandosi anche con i numerosi adattamenti teatrali, cinematografici e televisivi realizzati dalla sua pubblicazione (1955) ad oggi. La vicenda di Eddie Carbone torna quindi sul palco contaminata e arricchita dalle immagini che hanno contribuito a crearne una sorta di mito nel corso del tempo.

Partiamo dagli anni ’50. Alla prima del Coronet Theatre di New York, nel settembre del 1955, lo spettacolo non ebbe quel successo che l’autore si aspettava. Eppure Miller, quarantenne e nel magico principio della sua storia d’amore con Marilyn Monroe, era già famoso, mentre la regia era affidata al pressoché coetaneo Martin Ritt, che presto avrebbe abbandonato le scene per una notevole carriera come regista cinematografico (“Paris Blues”, “La lunga estate calda, “Hud il selvaggio”, tutte pellicole con Paul Newman). Un anno dopo, a Londra, con la regia di un Peter Brook ancora lontano dall’idea di teatro essenziale che avrebbe poi sviluppato, fu un successo. Un’affermazione che peraltro si innestava in un clima di particolare fermento nella capitale britannica. Non per niente, il 1956 è anche l’anno di “Ricorda con rabbia” di John Osborne.

La vicenda in estrema sintesi: Eddie Carbone è uno scaricatore di porto e tiene d’occhio la figlia Catherine, in un ambiente in cui è forte la presenza del sindacato italo-americano di matrice gangsteristica. Arrivano due lontani cugini dall’Italia, come clandestini: uno dei due, Rodolfo, seduce Catherine, anche grazie alla sua voce (Enrico Caruso era un mito molto presente nell’immaginario). Carbone finisce per fare il delatore. Quindi si arriva al finale da tragedia. Miller pensava proprio a una sorta di tragedia greca, con l’avvocato Alfieri a impersonare un moderno coro.

Negli anni ’50, in piena guerra fredda, negli USA imperversava la caccia alle streghe del maccartismo anti-comunista. Miller era amico di Elia Kazan, ma il legame si trasformò presto in dissidio mai più ricomposto dopo le delazioni di Kazan al comitato per le attività anti-americane. Eppure “Uno sguardo dal ponte”, ambientato tra gli scaricatori di porto, fa venire in mente “Fronte del porto”, il mitico film di Kazan che lanciò il mito di Marlon Brando come massimo interprete del ‘metodo’.

Il periodo in cui Miller scrive “Uno sguardo dal ponte” coincide inoltre con il fiorire della liaison con Marilyn, in rotta con il campione di baseball Joe Di Maggio. Marilyn era già la donna più desiderata d’America, per via di “Quando la moglie è in vacanza”, ma già infelice e in cerca di qualcos’altro rispetto al vuoto della celebrità: per esempio voleva anch’essa confrontarsi con il metodo all’Actors Studio sotto l’ala di Lee Strasberg.

“Uno sguardo dal ponte” venne portato sullo schermo da Sidney Lumet nel 1962. Protagonista un memorabile Raf Vallone nella ‘parte della vita’. Rarissimo esempio di giornalista e attore, la biografia di Vallone meriterebbe un corposo approfondimento.

Qui ci limitiamo a segnalare un curioso allestimento americano del 1965 che vide confluire nello stesso progetto una serie di grandi nomi del cinema americano, allora ancora semisconosciuti. Ulu Grosbard (anche lui poi attivo e successfull nel cinema) firmò la regia con Robert Duvall nel ruolo principale, mentre la parte di Rodolfo fu appannaggio di John Voight, che pare vinse il ballottaggio con Christopher Walken. Gene Hackman, che doveva interpretare Marco, se ne andò dopo una settimana di prove per impegni sopravvenuti. Ultima chicca: Dustin Hoffman fece l’aiuto regista. Tutto questo in un piccolo teatro di Broadway. Eppure lo spettacolo non fu accolto benissimo, forse per un eccesso di naturalismo in un periodo – metà anni ’60 – in cui avanzavano altri modelli di messinscena.

Sabato 4 marzo, alle 17, appuntamento con Conversando di teatro, promosso da ERT e Associazione Amici dei Teatri Modenesi in collaborazione con il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali di Unimore: Massimo Popolizio e la compagnia incontreranno il pubblico insieme a Franco Nassi, professore associato di Letteratura anglo-americana e Teorie della traduzione presso Unimore.

di Francesco Rossetti

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