Scapèin: condizione in cui viene a trovarsi, ad esempio, il formaggio parmigiano quando non è stato conservato in modo proprio e quindi diventa rancido. Esempio: ‘Càl furmàj ché al g’hà al scapèin’. Il parmigiano ha la caratteristica di essere presente, in forma fisica o metafisica, in moltissima alchimia culinaria canarina, per questo se un pezzo di formaggio ‘al g’ha al scapèin’ si rivela particolarmente pericoloso, dato che verrà o distribuito sulla pasta appena servita o all’interno di ripieni con la conseguenza che tutto, inesorabilmente, prenderà ‘al scapèin’ e, al palato, finirà per sapere di rancido, vecchio, inacidito.
Non solo: chi si troverà ad assumere cibi colpiti dàl ‘scapèin’, finirà per sapere anch’egli di ‘scapèin’, ovvero prenderà ad ad esalare aromi stantii, a traspirare fetore raffermo (si lo so che fa schifo ma non posso farci niente, sono strapagato per darvi queste informazioni ad ogni costo). Il termine pare sia imparentato con lo ‘scapin’ (calzino) veneziano, infatti i Serenissimi sono soliti dire che il formaggio lofi sa ‘di scapin’, ovvero di calzino di uomo, in special modo di calzino di cui si è abusato durante il giorno e, una volta liberato dalla ‘fetta’ che conteneva, ha preso su quell’ afrore inimitabile che trova la sua esaltazione la mattina dopo quando, ai bordi del letto presso cui è stato abbandonato, presenta quella croccantezza tipica del calzino che, appunto ‘sa di scapèin’.
Il merito di tale olezzo è del Brevibacterium, un intrepido batterio che si nutre delle schifezze prodotte dai piedi che adesso non sto ad elencare per pietà nei vostri confronti, tanto da produrre Metantiolo, sostanza che sa di formaggio. Non a caso i batteri appartenenti a questa famiglia del batterio casaro sono fondamentali per la maturazione del formaggio olandese Limburger. Dire adesso se è il formaggio che sa di piede o il piede che sa di formaggio è una diatriba filosofica per la quale non mi sento all’altezza, quindi lascio a voi trarre le conclusioni, adorati lettori.
di Stefano Piccagliani
