Il disco della settimana: “Ridin'”, il blues contaminato di Eric Bibb

Eric Bibb – “Ridin'”

Eric Bibb è, senza ombra di dubbio, uno dei migliori bluesman rimasti in circolazione. Classe 1951, newyorkese di nascita ma residente da tempo in Svezia, ha portato avanti, negli anni, la tradizione di miti del folk-blues come Blind Willie Johnson, Son House e Mississippi Fred McDowell, rielaborandola e trasformandola grazie a diverse contaminazioni, secondo la lezione del suo mentore Taj Mahal. Negli album di Eric Bibb si trovano elementi soul, jazz, gospel, sonorità africane e caraibiche e, di tanto in tanto, spunti country e persino rock, una miscela confermata anche in questo nuovo lavoro, che segue di un paio d’anni il precedente e ottimo “Dear America”.

Come quel disco anche “Ridin’” cerca di raccontare i problemi e le contraddizioni degli Stati Uniti, visti da uno che vive dall’altra parte del mondo, ma che con il cuore continua ad essere concentrato su quella che resta la sua patria. In particolare si sofferma sulle difficoltà che hanno ancora gli afroamericani, sul razzismo sempre presente e radicato. Nelle 15 canzoni del disco c’è tutto l’immaginario sonoro di Eric Bibb, aiutato da una serie di musicisti di straordinario livello, da Steve Jordan a Tommy Simms fino a Russell Malone, affiancati da alcuni ospiti di prestigio come lo stesso Taj Mahal o l’amico di vecchia data di Eric, Habib Koité, che presta voce e kora alla splendida ballata soul-gospel “Free”.

In “Ridin’” non c’è davvero un episodio brutto e tutti i suoni sembrano centellinati e posti nel punto giusto. Ci sono tipici folk-blues, brani in cui Bibb è maestro, come l’iniziale “Family”, primo singolo del disco, e la bellissima title-track, che cresce nel finale grazie ad un ritmo incalzante e a una tosta chitarra slide, ma ci sono anche brani più moderni e “particolari”. Ad esempio l’intrigante “Tulsa Town”, con un inizio alla J.J. Cale, o la delicata ballata “People You Love”, senza dimenticare i due splendidi strumentali, la ricercata “Onwards” e la conclusiva “Church Bells”, con il violino in evidenza. Da ascoltare assolutamente.

di Giovanni Botti

WP-Backgrounds Lite by InoPlugs Web Design and Juwelier Schönmann 1010 Wien