“La Tempesta” del fumettista modenese Marino Neri

(foto Diego Camola)

Con un titolo colmo di richiami alla grande tradizione, da Giorgione a Shakespeare, arriva in libreria e in fumetteria “La tempesta”, il nuovo graphic novel di Marino Neri, pubblicato da Oblomov (156 pp, 20 euro). Un lavoro molto atteso dopo i precedenti “Cosmo” (Coconino 2016), “L’incanto del parcheggio multipiano” (Oblomov 2018) e “Nuno salva la luna” (Canicola 2019), finalista al Premio Andersen 2020.

Marino, ancora una volta racconti una storia andando per sottrazione, con didascalie e dialoghi ridotti all’osso. È così?
Qui forse ancor più che nei precedenti lavori. Mi avvicino sempre più a una narrazione il più possibile in presa diretta, fatta di battute corte, dialoghi spezzettati. Non c’è voce narrante. Se c’è qualcosa di simile, sono i messaggi vocali che il protagonista Manuel invia a un suo amico che a sua volta non si vede mai nella storia però c’è.

Manuel, a un certo punto, dice: “Uno vuole stare lontano dalla merda del mondo, ma quella arriva ovunque”. C’è un bisogno di fuga, di ritorno alla natura?
Manuel inizia il suo viaggio in modo casuale, a piedi per via di un guasto alla corriera. Si vuole lasciar trasportare dal viaggio come se fosse un giovane romantico. Gli accadono alcune cose e questa passeggiata che per lui doveva essere un ritorno alla natura, in realtà lo riporta a una realtà più cruda, e la storia vive di questo contrasto.

Conservi sempre il tuo interesse per le periferie, i luoghi marginali come nel precedente “L’incanto del parcheggio multipiano”?
Sì, in questo caso però l’ambiente è più bucolico. Potrebbe essere l’Appennino centrale, oppure una zona del nord est. Se è vero che le periferie delle città si assomigliano, forse, in un certo senso, anche certi paesaggi naturali sono un po’ uguali dappertutto. Eppure c’è sempre l’intervento dell’uomo. Nelle prime immagini, per esempio, una diga che crea un lago artificiale.

La seconda parte si svolge in un interno: una grande casa vicino a un lago. C’è un trio di personaggi carico di pulsioni sotterranee che fa pensare al cinema di Polanski…
Il riferimento a Polanski è giusto, come anche a “La Panne” di Dürrenmat e ai racconti e le pièce teatrali di Yasmina Reza. Avevo questa idea di chiudere i personaggi in “cul de sac”, metterli a confronto gli uni con gli altri in un’escalation di stress psicologico che via via fa venir fuori la loro personalità. La seconda parte è molto teatrale, una sorta di dramma da camera. La mia idea era mostrare personaggi che si dimostrano molto più sfaccettati di quello che appaiono inizialmente. Lo stesso Manuel, il personaggio nel quale ci si identifica, mostra lati di sé non esattamente rassicuranti.

Che tipo di segno hai utilizzato?
La mia idea di fumetto si riassume sempre nella formula “less is more”: nella scelta dei dialoghi e nel disegno. Mi piace quando un disegnatore riesce con pochi segni a rendere il carattere di un personaggio, quasi che sembri sia stato disegnato in quattro e quattr’otto. Mi piace raggiungere questo tipo di freschezza nel fumetto. Amo rappresentare le cose come si percepiscono, più che come sono realmente. Uno stile un po’ impressionistico.

E la colorazione?
Segue l’andamento dell’atmosfera e della storia. All’inizio in pieno giorno colori più caldi, poi avvicinandosi alla notte, con la luce che va via, tutto diventa un po’ più freddo. I colori accompagnano l’evolversi della temperatura del racconto.

Negli ultimi anni lavori molto anche come illustratore…
Sì, è una parte importante della mia attività. Realizzo copertine di libri o di riviste e settimanali. Ho curato le illustrazioni per “Sotto il vulcano”, la nuova rivista letteraria della Feltrinelli, diretta da Marino Sinibaldi. È una pratica diversa da quella del fumettista, anche se io ripropongo il mio segno anche lì. Ci ritrovi la mia sintesi, l’utilizzo del nero, di poche tinte. Il lavoro su un fumetto è molto immersivo e ci impieghi 2-3 anni per realizzare una storia come “La tempesta”. L’illustrazione è una pratica più veloce, da questo punto di vista più rilassante, ed è anche un’opportunità per sperimentare.

Con Oblomov come ti trovi?
Mi piace l’attenzione e la cura che mettono sul libro come oggetto. In un contesto di bulimia di pubblicazioni, la qualità della fattura ti permette di distinguere un prodotto da un altro. Non si dovrebbe fare, ma io continuo a giudicare un libro anche dalla copertina.

di Francesco Rossetti

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