Andrea Govoni risponde al telefono da Milano dove si è trasferito da un paio d’anni. Parla volentieri del suo singolo appena uscito: primo tassello dell’album solista annunciato per la prossima primavera. Il titolo è “Modena”, la sua hometown. “Non potevo non aprire il disco con una canzone che parlasse della città dove sono nato”, spiega “Govo”. “L’ho pensata non appena mi sono trasferito a Milano, come una dedica alle mie origini, come una passeggiata tra i ricordi”.
Il brano racconta di una domenica mattina che non è ancora l’alba e sei in partenza: è forse la sintesi musicale di tantissime tue partenze?
Sì, perché sono un viaggiatore e ho suonato davvero in tutti i paesi d’Europa, anche questa estate. Il viaggio per me è fondamentale, sempre con la chitarra in spalla, in giro a conoscere, esplorare, farsi nuovi amici e avere nuove ispirazioni. Nel tempo ho collezionato un bagaglio di ricordi che ho poi dovuto selezionare: non è stato facile. In fondo le nuove canzoni dell’album sono tutte piccole storie autobiografiche raccontate in musica.
Il singolo è uscito sulle piattaforme online il 29 settembre: una scelta o una data casuale?
È stata una scelta, un omaggio al beat italiano a cui sono particolarmente legato. Lo sento affine, seppur inconsapevolmente, al mio stile di scrittura. Nonostante poi le mie influenze siano successive.
A quale periodo ti riferisci?
Sono un amante di tutto il movimento londinese di metà anni ’70: David Bowie, i Queen e compagnia bella. Mentre in ambito italiano i miei riferimenti partono già dagli anni ’60.
Sei sempre stato un interprete eclettico, capace di entrare in diversi mood musicali: ma qual è il genere più tuo? In cosa ti identifichi?
Posso dire che dopo tante trasformazioni, prove, tentativi, con questo disco ho ritrovato un po’ me stesso. Mi sono fermato un attimo e mi son chiesto: chi è Andrea Govoni? In realtà era quello che avevo lasciato nei testi scritti anni fa, dimenticati nel sottoscala. Rileggendomi, con calma, senza correre da un concerto all’altro, ho capito che sono quello che scrivo. Cosa scrivo? Scrivo di me. Torno al termine ‘beat’, proprio perché è aperto, rimanda a tutto e a niente. Nel beat ritrovo un mood classicheggiante nel testo che richiama un periodo felice di costume, e una leggerezza poetica, romantica. Con una sonorità che va verso il rock, ma non troppo.
Un’altra tua caratteristica è la dimensione performativa: ti piace stare sul palco, il contatto con il pubblico. Nel singolo invece sei particolarmente morbido…
Dal vivo, tra una canzone e l’altra ho una certa vena spontanea da entertainer, forse perché sono nato sul palco. Fin da piccolo. Ho fatto talmente tanti concerti che per me il palcoscenico è un po’ casa. Mi sento a mio agio. Ma è vero che ascoltando il singolo, molti rimangono sorpresi. Pensano: la canzone non è matta come lui. Ah, ma allora fa sul serio. E questo mi piace.
“Modena” ha un arrangiamento estremamente curato. Ti piace coinvolgere musicisti e suonare insieme?
Adoro il lavoro di squadra. Per me la condivisione è la cosa più importante. In tempi così minimal della musica di oggi, dove si richiede sempre meno, mi piace proporre una musica che richiami il sapore d’altri tempi, che voglia far emozionare. Quindi sì ai fiati, agli archi. Del resto ho anche suonato e cantato con big band di 22 elementi.
Sabato 14 ottobre suonerai al Vibra di via IV Novembre 40/a: chi ti accompagnerà?
Una band d’eccellenza che comprende Roberto Dell’Era (Afterhours) al basso, Gianluca De Rubertis (Il Genio) a chitarre e tastiere, Alessandro Deidda (Le Vibrazioni) alla batteria. Prima di me si esibiranno Ed, May Gray e Amanda Zelna. Li ringrazio.
A Milano come ti trovi?
Benissimo, ho trovato tanti amici, è una città che mi ha aperto subito le braccia.
Milano può anche stritolare, però…
Ma offre anche nuove amicizie e opportunità, uniche in Italia. Certo, devi esser bravo a tenere il passo, ma se ci riesci, ti trascina in tantissime occasioni. Se te la giochi bene, è come giocare in serie A.
Tra la voce, il piano e la chitarra, quale strumento preferisci?
Mi sono sempre sentito un cantante. Da bambino guardavo i video della vecchia Videomusic e i miei eroi erano Freddie Mercury, Elton John, Jerry Lee Lewis, Paul McCartney.
Che studi hai fatto?
Sono un grafico pubblicitario. Lavoro che non ho mai svolto ma in fondo mi è servito per auto produrmi le locandine, in tutti questi anni.
Ti piacerebbe partecipare al Festival di Sanremo?
Io sogno Sanremo. Mi sento molto nazional-popolare, nonostante l’animo rock. Vorrei salire sul palco dell’Ariston, anche per riscattare la buona vecchia musica italiana, non i trapper che ci sono adesso.
di Francesco Rossetti