Modena Ieri & Oggi: Carlo Sigonio, professione dotto e sapiente

È una Modena rinascimentale quella che incarna la figura di Carlo Sigonio. Due sono i segni che rendono questo nome assai familiare ai geminiani: uno è la via, anzi il viale, appena fuori dal centro storico, che collega piazzale Risorgimento a viale Medaglie d’oro. Passandoci in auto o in bicicletta, spicca il grande albero dipinto da Andrea Chiesi, nell’area completamente riqualificata dell’ex Amcm, ora chiamato Parco della Creatività. Il secondo segno rimanda alla celebre scuola, al Liceo che fino a poco tempo fa si trovava negli edifici cinquecenteschi di via Saragozza, mentre da qualche anno ha trovato una nuova sede in via del Lancillotto. Prima era un istituto magistrale e tra i suoi alunni spicca il nome di Francesco Guccini.

Dunque, Carlo Sigonio: chi fu costui? Intanto diciamo che, mentre è certa Modena come città natale, non è affatto chiara la data di nascita, prudentemente collocata dagli storici tra il 1520 e il 1524. Insomma, cade proprio in questo periodo il cinquecentenario. Sigonio fu un erudito, uno storico, uno studioso umanista che perlopiù scrisse in latino, pur conoscendo benissimo il greco. A suo modo visse in pieno i turbolenti anni della Riforma luterana e della temutissima Inquisizione Romana, districandosi con estrema accortezza nelle dispute tra cattolici e protestanti. E visse in pieno la grande novità della stampa, pubblicando perfino con Paolo Manuzio, figlio del mitico Aldo.

Dopo gli studi modenesi di greco e latino, si trasferì a Bologna per studiare la filosofia e la medicina. Più tardi si trasferì a Pavia per ascoltarvi i corsi dell’umanista Andrea Camuzzi. Nel 1545, quando tornò a Modena – dopo gli anni che avevano visto il vescovo Giovanni Morone (sì, quello di via Cardinal Morone) alle prese con il tentativo di riassorbire senza clamori il dissenso degli ‘accademici’, i primi interventi dell’Inquisizione romana e un editto ducale (24 maggio 1545) che proibiva il possesso di libri eretici e ogni discussione in materia di fede – Sigonio trovò impiego come segretario del cardinale Marino Grimani, patriarca di Aquileia, e nel 1547 tenne le prime lezioni di greco. Nel 1548 divenne il precettore di Fulvio, figlio di Claudio Rangoni e di Lucrezia Pico, rimpiazzando così il dissidente Girolamo Teggia: un dato che testimonia la fama di ortodossia di cui godeva Sigonio, nonostante i contatti con Castelvetro a cui tra il 1549 e il 1552 avrebbe dedicato un poema latino in cui lodava i cardinali ‘spirituali’ Morone e Reginald Pole. In quegli anni Sigonio pubblicò anonima la sua prima opera: una traduzione dei discorsi di Demostene, oggi perduta, che gli costò un attacco dell’ex maestro Bendinelli, a cui rispose usando il nome dell’amico Saulo Ronchi. Un terreno di scontro tra i due docenti, che ne scrissero una ciascuno, fu la priorità da accordare alla stampa di due vite di Scipione Emiliano.

Nello stesso arco di tempo la pubblicazione dei cosiddetti Fasti capitolini da parte di Bartolomeo Marliani spinse Sigonio a intraprendere il progetto di catalogare tutti i magistrati di Roma, maggiori (re, consoli, censori, dittatori) e minori (edili, pretori, tribuni della plebe), confrontando le informazioni delle epigrafi e quelle degli storici greci e latini dell’antichità, in vista della compilazione di una storia di Roma. Tuttavia, nel 1550, per i tipi dell’eterodosso modenese Antonio Gadaldino, ultimò e pubblicò solo la parte dedicata ai maggiori. Una seconda edizione corretta e aggiornata dei Fasti sarebbe stata pubblicata nel 1555, per i tipi veneziani di Paolo Manuzio. Nel 1555, ancora per Manuzio, Sigonio ultimò un’edizione con commento delle Storie di Tito Livio. E ancora nel 1560, per Ziletti, apparvero i due libri “De antiquo iure civium Romanorum” e i tre “De antiquo iure Italiae”, tramite i quali Sigonio si impose sulla scena culturale come un profondo conoscitore delle istituzioni e della storiografia di Roma. In particolare il lavoro su Livio avrebbe conosciuto una fortuna tale che se ne contano diverse edizioni.

Infine, per chi volesse addentrarsi negli studi sul Sigonio, segnaliamo una recente pubblicazione, disponibile nelle biblioteche Estense e Giuridica, firmata da Guido Bartolucci su un testo particolare del Sigonio, del 1582: il “De republica Hebraeorum”, la repubblica ebraica. Fu questo il suo ultimo lascito librario. Due anni dopo, nell’agosto del 1584, il sapiente si spense.

di Francesco Rossetti

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