Modena Ieri & Oggi: le radici geminiane di Carlo Goldoni

Nacqui a Venezia l’anno 1707. Giulio Goldoni, mio padre, era nato nella medesima città: tutta la sua famiglia però era di Modena… Carlo Goldoni, mio avo, sposò in prime nozze la giovine signora Barili, nata a Modena… Questa dunque era la mia nonna paterna.” Già dalle prime battute delle sue celebri Memorie, si capisce che Carlo Goldoni forse il più grande drammaturgo italiano di sempre, aveva salde radici geminiane. Non solo, il giovane Carlo trascorse qualche anno a Modena, al seguito del padre, in anni decisivi per la sua formazione, nel pieno dei suoi vent’anni. Goldoni aveva già sentito l’attrazione per le compagnie di giro della commedia dell’arte.

Diciottenne, aveva scritto una satira (andata perduta) sulle virtù e vizi delle ragazze di Pavia. Il padre però voleva per il figlio seri studi di grammatica e giurisprudenza. A Modena l’autore del “Ventaglio” arrivò dopo un forte esaurimento nervoso, cercando conforto nella religione, decidendo di farsi frate nell’ordine dei Cappuccini. Tentativo fallito. La sua religione sarebbe stata il teatro. Ebbe così inizio un periodo piuttosto avventuroso della sua vita. Il padre morì improvvisamente nel 1731 e Carlo dovette farsi carico della famiglia, esercitando la professione di avvocato.

Ma arrivarono anche i primi contatti con i capocomici e i primi testi. Il successo arrivò, se non subito, dopo qualche anno e in proporzioni notevoli. Si affermò come autore di primissimo piano, tanto da conquistare fama e rispetto anche in Francia. A tal punto che nel 1762 Goldoni si trasferì a Parigi, dove morì molto in là negli anni per un uomo del suo tempo, nel 1793, in piena Rivoluzione Francese. L’intera opera goldoniana si offre come un’ininterrotta serie di situazioni, si svolge attraverso un “quotidiano parlare”. Passando continuamente dall’Italiano al veneziano e viceversa, Goldoni dà spazio a diversi usi sociali del linguaggio.

Nella sua opera emerge sempre una critica sottile ad ogni forma di ipocrisia, con un’attenzione particolare alla nuova classe sociale dei piccoli borghesi. Goldoni offre l’immagine di una trionfante affermazione della missione teatrale, di un sicuro proposito di riforma, sostenuto da una spontanea vivacità. La sua figura rimanda ad un’immagine di cordialità, disposizione al sorriso e alla gioia, disponibilità umana. Eppure dietro quest’immagine leggera, si scorge sempre un’inquietudine, scaturita dall’estraneità dell’io narrante rispetto alle vicende, che si trasforma in un continuo interrogarsi su se stesso e sul mondo, in una forma di inquieta ipocondria. Per tutta la sua vita, Goldoni fu alla ricerca di legittimazione di se stesso, del proprio fare teatro: per questo rifiutò sempre la dimensione della tranquilla professione borghese.

di Francesco Rossetti
(Pubblicato su Vivo del 17 luglio 2013)

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