Sound Ciak: la recensione della serie “Sweet Tooth” di Jim Mickle

E’ da molto tempo ormai che numerosi fumetti vengono portati sul piccolo e grande schermo. Di recente Netflix, dopo aver intrapreso diverse strade (tra cui quella sfortunata di “Jupiter’s Legacy”), ha deciso di puntare sull’opera di Jeff Lemire, creando “Sweet Tooth”. Questa serie, prodotta da Robert Downey Jr e sua moglie Susan, è ambientata in un mondo post apocalittico in cui la razza umana è stata colpita da una malattia, chiamata Afflizione, ma che allo stesso tempo ha portato alla nascita di ibridi, metà umani e metà animali. La storia vede come protagonista Gus, un bambino-cervo, cresciuto dal padre al sicuro tra i boschi del parco di Yellowstone, lontano dal mondo esterno e dagli “Ultimi Uomini”, un gruppo paramilitare che dà la caccia agli ibridi.

Girata lo scorso autunno in Nuova Zelanda, quindi in piena emergenza Covid, ad un primo sguardo “Sweet Tooth” potrebbe essere dunque una sorta di denuncia o critica ai recenti avvenimenti, che hanno scosso il mondo intero. Una sorta di monito, quindi, per quello che potrebbe capitare di nuovo. Ma invece non è così: la pandemia nel racconto è solo il contesto in cui raccontare una favola e uno splendido viaggio di formazione del piccolo Gus, interpretato dall’espressivo Christian Convery, e di altri personaggi che lo circondano, tra cui spicca Jepperd (la sorpresa Nonso Anozie), il rude e imponente vagabondo ma dal cuore d’oro. Alcune sotto trame, però rischiano di spezzare il ritmo e togliere l’attenzione dalla storia principale; ma la durata non eccessiva degli episodi (soltanto tre su otto si avvicinano ad un’ora), fa si che il prodotto rimanga piacevole e godibile. Inoltre la fotografia e il comporta tecnico sono ben strutturati per essere una prima stagione, mentre il trucco di alcuni bambini ibridi appare raffazzonato e poco curato. Sembra che tutta la maestria e tecnica in questo ambito sia stata riservata a Gus, con le sue orecchie da cervo che si muovono a seconda del suo stato d’animo.

Molto bella, infine, la scelta di inserire un narratore esterno (nell’originale Josh Brolin) che detta i tempi presentando le varie situazioni, sia all’inizio, che durante che alla fine di ogni episodio. Per i più nostalgici, ricorderà vagamente le “Fiabe Sonore”.

 

di Mattia Amaduzzi

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