Nel segno della psiche. Dal 13 al 15 settembre Modena, Carpi e Sassuolo si apprestano a vivere la 24ª edizione del festivalfilosofia, per questo territorio l’appuntamento culturale più rilevante in questo inizio di terzo millennio. Il rendez-vous con il festival detta infatti l’agenda di enti locali, istituzioni e associazioni culturali, fondazioni pubbliche e sponsor privati, con una straordinaria capacità attrattiva rispetto all’intero territorio nazionale. Dal canto suo Daniele Francesconi (foto) è alla sua ottava edizione come direttore, dopo essere stato il principale collaboratore di Michelina Borsari fin dall’avvio nel 2001.
Francesconi, 24 anni di festival cominciano a essere un bel pezzo di vita, no?
Sì, è certamente un percorso lungo, fatto di crescite, cambiamenti. Del resto l’unico modo per continuare a coltivare la passione è provare a tenere viva la formula del festival, rinnovandola di continuo.
In effetti quest’anno, a fronte di complessive 53 lezioni magistrali, sono addirittura 29 i debutti, le ‘prime volte’…
L’attenzione alle voci nuove c’è sempre stata negli ultimi anni: quest’anno è ancora più netta e dobbiamo insistere anche nel segnalarla. Perché è chiaro che ci sono alcuni grandi ‘stelle’ che brillano di luce propria a cui non rinunceremo mai. Chi rinuncerebbe a Mbappé o a Bellingham? Ma la squadra è fatta anche di figure magari non così popolari, ma altamente specializzate, ed è fondamentale promuoverle. Peraltro sono personalità che qui debuttano, ma che hanno un accreditamento scientifico molto importante.
Qualche nome da segnalare nell’edizione di quest’anno?
Anil Seth insegna appunto Neuroscienze cognitive, Thomas Fuchs Fondamenti filosofici della psichiatria e della psicoterapia. Entrambi prenderanno la parola in piazza Grande.
Lei dice che il programma cerca di mettere insieme teorie ed esperienze: cosa intende?
Penso al modo in cui facciamo interagire il programma filosofico e quello artistico. Quest’anno, avendo psiche come parola chiave, la parola del senso della nostra vita, così rilevante nel nostro mondo anche in termini di sofferenza psichica, individuale e collettiva, l’aspetto dell’esperienza è molto importante. Quindi, per fare un esempio, ci sono tanti laboratori indirizzati ai ragazzi, ai bambini, anche agli adulti che provano a porsi la questione del benessere e della cura.
Il festival è un rito comunitario in un’epoca che viene per contro definita di estrema individualizzazione. Da questo punto di vista, ha anche una funzione politica?
Credo di sì, ce l’ha nel proporre una forma di partecipazione e condivisione, peraltro intermittente, come tante delle nostre comunità contemporanee, e tuttavia con una continuità. Il nostro è un festival, e la festa è sempre un’eccezione, però è anche vero che c’è una ripetizione forte, e sappiamo di poter contare su un pubblico fortemente fidelizzato che ha voglia di incontrarsi fisicamente, in un periodo in cui la politica stessa sceglie più spesso la strada della tecnologia e del digitale.
Il festival propone inoltre una mappa di possibili percorsi, una sorta di metropolitana del pensiero: senza di essi ci si perde?
Suggeriamo linee tematiche, percorsi possibili, perché il programma è molto vasto e può risultare spaesante, ma è il pubblico ad avere un ruolo attivo, a costruire la sua esperienza. Bisogna aspettare che i relatori e gli artisti salgano sul palco e che il pubblico recepisca quello che è più nelle sue corde.
Per definizione il pensiero non ha confini, non ha neanche bisogno di un luogo particolare. Per esempio, ad agosto Roma ha ospitato il congresso mondiale della filosofia. Quanto allora le caratteristiche di un territorio come quello di Modena e della sua provincia, incidono sull’identità di questo evento?
Nella sua domanda c’è già la risposta. Un congresso di filosofia si può tenere dappertutto. Un festival ha bisogno di condizioni molto più speciali, perché è una manifestazione urbana, popolare che deve sintonizzare la parte rigorosa della filosofia con gli altri linguaggi. Per ottenere questo ci vuole un tessuto culturale ricettivo e attivo, ci vogliono i capitali, non solo economici, ma sociali, culturali, intellettuali. In questi territori ci sono condizioni speciali di ricchezza del tessuto, per cui si riesce a costruire non semplicemente un congresso, ma un festival.
L’immagine del festival è una luna piena: perché?
La luna è un grande emblema dei moti dell’animo, perfino in tante espressioni proverbiali: avere la luna storta, essere lunatici. È qualcosa che per millenni ha evocato influenze sui caratteri umani, quindi ha a che fare con la nostra psiche. È anche qualcosa che al solo guardarla ci muove l’animo, in più richiama il rapporto tra la ragione e la follia, basti pensare ad Ariosto.
(di Francesco Rossetti)