Alla San Carlo, il professor Dantini parlerà del mito dell’Italia nell’epoca del Grand Tour

Domani, venerdì 1° aprile, per il ciclo del Centro Culturale della Fondazione San Carlo di Modena “Viaggio. Esperienza del limite e conoscenza dell’alterità nella cultura occidentale”, il professor Michele Dantini, docente di Storia dell’arte contemporanea presso l’Università per Stranieri di Perugia, terrà, presso il teatro della Fondazione San Carlo, una conferenza dal titolo “Immagini dell’Italia. I viaggiatori del Grand Tour e la costruzione di un mito”. Inizio alle 17,30. L’ingresso è gratuito. Maggiori info e prenotazioni su https://www.fondazionesancarlo.it/conferenza/immagini-dellitalia/

La conferenza indagherà il modo in cui gli artisti e gli scrittori europei che visitarono l’Italia tra Seicento e Ottocento abbiano contribuito alla costruzione del mito della penisola come Bel Paese. Un mito caratterizzato da una profonda ambivalenza, poiché al riconoscimento della bellezza dei paesaggi e delle rovine antiche si affianca l’affermazione di stereotipi sul carattere della popolazione.

Dalla prima metà del XVIII secolo la scoperta del mondo sommerso di Pompei ed Ercolano, che finalmente consente di studiare l’antico “dal vero” e non solo per il tramite della letteratura, segna una netta cesura nella cultura europea: da allora l’antichità diviene riferimento fondamentale per ogni versante dell’esperienza e del sapere dell’uomo moderno. L’entusiasmo suscitato dagli scavi di Ercolano e di Pompei influisce in modo davvero decisivo anche sulla passione antiquaria, che diviene sempre più intensa e diffusa nel corso del Settecento. Questo interesse non è relativo solo agli scavi, ma si esprime anche nello studio dei numerosissimi materiali archeologici divenuti ricercati oggetti di collezionismo.

Se Roma è il luogo privilegiato per il ritrovamento e l’acquisto di opere e reperti – ne è un documento visivo colmo di spirito il dipinto di Jacques Sablet (1749-1803), che ironizza sull’atteggiamento degli antiquari e dei loro clienti – a Volterra l’abate Mario Guarnacci raccoglie urne funerarie etrusche; a Catania nel 1758 Ignazio Paternò crea un museo ove trovano posto oggetti acquistati sul mercato antiquario accanto a quelli reperiti sul territorio. Ma anche rovine da sempre visibili ottengono nuova attenzione: è il caso dei templi di Paestum, e più tardi di quelli di Agrigento, divenuti elemento di studio e tema di tanti dipinti e incisioni, indicativi del fascino suscitato dall’antico su intellettuali e viaggiatori stranieri e italiani.

L’interesse per le rovine antiche e gli scavi archeologici comporta dei mutamenti nella concezione del Grand Tour, cioè quel viaggio che i giovani anglosassoni, ormai da generazioni, intraprendevano sul continente e soprattutto in Italia per completare la loro educazione, spesso accompagnati da persone colte che li introducevano alle bellezze artistiche del Paese. Dalla fine del XVII secolo, epoca in cui il Grand Tour era diventato una consuetudine per le classi aristocratiche e quelle più abbienti della borghesia emergente, le mete privilegiate dei grand tourists erano soprattutto le città del Nord Italia: Milano, Verona, Vicenza, Padova, Venezia, con occasionali puntate verso Roma e raramente più a Sud. Ma la risonanza ottenuta dalle scoperte archeologiche rende sempre più attraente il richiamo di Ercolano. Questa “città romana conservata sotto terra con tutti i suoi edifici” – così la descrive il ventitreenne Sir Horace Walpole, futuro autore del primo romanzo gotico, Il castello di Otranto (1764) – è fonte di appagamento inesauribile e al medesimo tempo sprone a studi storici e a ricerche documentarie sul campo.

L’interesse sempre crescente per l’antico induce i collezionisti più appassionati a rendere note le proprie raccolte in raffinate pubblicazioni illustrate da incisioni di eccellente qualità. Queste si rivelano utilissime per il rinnovamento degli stilemi figurativi, soprattutto nel settore delle arti decorative: dagli oggetti d’arredo ai gioielli, alle decorazioni architettoniche di sale e padiglioni.

Michele Dantini insegna Storia dell’arte contemporanea presso l’Università per Stranieri di Perugia. Membro del comitato scientifico di “Predella. Journal of Visual Arts”, nella sua attività di ricerca ha approfondito la tradizione naturalistica e postnaturalistica francese dell’Ottocento e le avanguardie storiche del primo Novecento. Si è concentrato, inoltre, sullo studio dell’arte contemporanea dalla fine degli anni Sessanta a oggi (in particolare Land Art e neoespressionismo tedesco) e sul rapporto tra arte, società e innovazione tecnica. Tra le sue pubblicazioni recenti: Sulla delicatezza (Bologna 2021).

 

 

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