‘La dea bendata ci vede benissimo’: alle Gallerie Estensi una mostra su giustizia e denuncia dei soprusi

Dal 16 settembre 2022 al 8 gennaio 2023 le Gallerie Estensi presentano la mostra “La dea bendata ci vede benissimo. Malagiustizia di antico regime sotto la lente del sindacato”. La rassegna prende spunto da un singolare manufatto marmoreo conservato nei depositi della Galleria Estense: un antico rilievo scolpito in marmo con la figura allegorica della Giustizia, che, come recita la sua iscrizione, invita i cittadini a denunciare al sovrano, segretamente, episodi di quella che oggi definiremmo malagiustizia. Il rilievo in marmo è una buca per le denunce decorata con l’aquila estense, risalente alla seconda metà del XVII secolo. Grazie a una felice collaborazione con il prof. Elio Tavilla, ordinario di storia del diritto medievale e moderno presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, l’opera sarà esposta al pubblico per la prima volta in un contesto aperto anche al tema storico-giuridico della (mala)giustizia e del “sindacato” in antico regime.

Assieme a volumi a stampa, in prestito anche dalla stessa Università, e ad un emblematico dipinto di Palma il Giovane, Allegoria della Giustizia e della Pace, saremo accompagnati in una digressione verso un mondo lontano, e dunque capace di farci riflettere anche sul nostro. A cura di Elio Tavilla e Federico Fischetti, la mostra inaugura in concomitanza col XXII FestivalFilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, che si svolge dal 16 al 18 settembre e ha come tema di quest’anno proprio la giustizia. “Portando l’attenzione a quest’opera poco conosciuta, ancora una volta le Gallerie Estensi si soffermano su un oggetto del passato che ha la capacità di farci riflettere sul nostro presente” afferma la Direttrice delle Gallerie Estensi Martina Bagnoli.

 

LA MOSTRA

Siamo nella seconda metà del Seicento, quando il ducato estense era guidato dalla reggente Laura Martinozzi (1662-1674) e a seguire da suo figlio, il duca Francesco II d’Este (1674-1694). All’epoca la corruzione dei funzionari era un problema endemico: in particolare nel caso dei giudici, inquadrati in un sistema non centralizzato, molto diverso da quello odierno, in cui ad esempio era previsto che guadagnassero una percentuale su ogni causa, invece di avere uno stipendio. La tendenza ad accentrare i poteri nella figura del sovrano, fenomeno tipico dell’epoca, interessò il campo della giustizia attraverso molteplici strumenti di controllo. È plausibile che anche a Modena si sia ragionato sull’introduzione di un protocollo come quello delle denunce segrete al duca. L’opera centrale della mostra richiama le “bocche” diffuse nella Repubblica di Venezia, sorta di cassette dotate di feritoia e inglobate nei muri esterni di chiese e palazzi, dove i cittadini potevano recapitare denunce scritte riguardanti diversi tipi di reati. Queste erano poi esaminate dagli organi giudiziari preposti, secondo procedure in voga lungo tutta la storia della Serenissima.

Questa rarissima “bocca” estense dichiara immediatamente questa funzione, ispirata alla Giustizia come dea bendata con bilancia e spada – classici riferimenti a ideali di equità e inflessibilità. Del resto, come per ogni valore socialmente riconosciuto, anche l’attività dei magistrati si accompagnava a un corredo figurativo, in un gioco di rimandi capaci di esprimere un messaggio potente. È ad esempio quel che si vede in mostra nel grande dipinto di Palma il Giovane, Allegoria della Giustizia e della Pace realizzato per la Quarantia Criminale di Venezia, sorta di pala di un altare laico per ispirare il lavoro dei giudici. O come nelle bellissime antiporte dei trattati di diritto comune, anch’essi esposti in mostra. Tutti modelli ideali destinati a scontrarsi con i limiti degli uomini chiamati ad applicarli. E anche per questo, sin dal medioevo presero forma una magistratura (i “sindacatori”) e una procedura (il “sindacato”), per valutare, ed eventualmente sanzionare, l’attività svolta dai giudici. Durante l’età moderna, questa forma di controllo venne assunta da funzionari direttamente rispondenti al sovrano.

Il marmo estense si colloca in questo contesto, ponendo però degli interrogativi. Nessuna fonte documentaria attesta infatti a Modena l’uso di tali denunce anonime contro i magistrati, e dunque è probabile che questo rilievo non abbia mai svolto una vera funzione pubblica. Quel che è sicuro è che racconta di una singolarissima figura di una Giustizia con la benda sollevata, come a voler significare che ella è cieca (imparziale) nel giudicare i sudditi, ma che ci vede benissimo quando si tratta di valutare la probità dei giudici. Un dettaglio forse volutamente ambiguo, che sfugge ad una lettura certa e che sembra ispirarsi al magnifico repertorio di cornici, aquile, simboli e tabelle che corredano le incisioni per “L’idea di un principe et eroe christiano”, il volume di Domenico Gamberti stampato nel 1659 in onore del defunto duca Francesco I d’Este.

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