“A mani nude”, Nek si racconta in un libro: la sua intervista

Nuova avventura creativa per Nek (foto) all’alba dei 30 anni di carriera (il debutto a Sanremo fu nel 1993), in coincidenza con i suoi primi 50 anni. Si tratta di un libro autobiografico “A mani nude” (HarperCollins, 18 euro), che prende spunto dal tremendo incidente alla mano sinistra del 19 novembre 2020 per parlare ‘a cuore aperto’ di tante fasi di vita e carriera, non nascondendo le vulnerabilità. L’introduzione al libro è firmata da Gianni Morandi che con Nek (all’anagrafe Filippo Neviani) condivide un altrettanto serio infortunio alle mani. La chiacchierata con Nek è avvenuta in occasione della serata al Bper Forum Monzani, la prima che ha visto il ritorno del pubblico in presenza dopo la sosta legata alla pandemia.

Nek, cosa hai messo in questo libro?
Molto di me. Il filo rosso è la cronaca in soggettiva del mio incidente. Il lettore è come se fosse dietro di me e rivivesse quegli attimi, quei minuti, quelle ore. Eravamo in lockdown (il secondo), e sono andato nella rimessa degli attrezzi agricoli per sperimentare una sega circolare fresca di acquisto. Ero solo quando è successo: uno squarcio nero pieno di sangue nel mio guanto sinistro. La prima prova è stata, in quei momenti, trovare il coraggio di sfilarmi il guanto, o quello che ne restava. La scena che mi si poneva davanti era splatter: sembrava che mi fosse scoppiata in mano una bomba. Mi sono sentito perso.

Poi?
Ho preso la macchina, guidando come potevo, e sono corso all’ospedale di Sassuolo. Sette chilometri lunghissimi. Lì mi hanno controllato e quindi spedito d’urgenza a Modena, dove la Chirurgia della Mano è un’eccellenza europea. L’operazione è durata dieci ore. Poi la lunga riabilitazione, che è ancora in corso.

Quando hai pensato di scrivere un libro?
La prima scintilla è scattata presto, già durante la prima settimana dopo l’intervento, quando ero ancora in ospedale.

Il libro è scandito da alcune parole cardine. Partiamo dalla prima: il coraggio. Cos’è per te?
Forse è qualcosa che c’è già quando nasci, qualcosa a cui aggrapparsi. Sulla base delle tue esperienze di vita, questo appiglio diventa sempre più resistente. Mi ci sono aggrappato al coraggio, però non so da dove sia arrivato. Potrei dirti da mio papà, che era un uomo molto coraggioso, nelle piccole come nelle grandi cose. Presumo che nasca con noi. Si è predisposti al coraggio.

Hai avuto paura?
Certo. Forse proprio la paura mi ha salvato la vita. Si può reagire in due modi: muovendoti, oppure rimanendo immobile. In qualche modo ho reagito e ho alimentato questo coraggio.

Con la paura ci convivi come artista?
Sì, ho la paura di essere dimenticato, per esempio, che tutto debba finire. Credo che questo sentimento sia comune a tanti altri miei colleghi nel mondo dello spettacolo. Una volta, guardando l’Arena di Verona sold out, mia moglie mi ha chiesto: ‘sei contento?’ Ho risposto: ‘sì, ma poi, se finisce?’ È una mezza condanna, ti dico la verità. Poi ci sono quelli ai quali non frega assolutamente niente: come va va, al massimo ci ho provato. Forse questa è la giusta filosofia.

Nel libro distingui tra ansia e paura…
L’ansia è un po’ un’anticamera della paura. Io sono predisposto agli stati ansiogeni, vengo da una famiglia dove tutti somatizzano molto. Ma sono fortunato perché tramite la musica posso sfogare ed esternare in libertà. Mio padre invece è sempre stato un introverso. Forse questo tenersi tutto dentro è stato la causa di tanti suoi mali.

Altra parola: pazienza…
Ci sto lavorando. Non è facile per me, sono sempre stato ipercinetico.
Eppure la riabilitazione ti ha richiesto pazienza, e in fondo anche una carriera ne richiede, no?
Sì, è un lavoro costante anche quello. La vita di una persona è fatta di tentativi di migliorarsi. È fare evolvere i talenti che hai dentro di te. Ovviamente ci vuole anche fortuna e qualcuno che ti sia complice.

La speranza, cos’è per te?
È un bel motore. Nel libro cito San Paolo: è stato prima un persecutore, poi un perseguitato e, nonostante fosse carcerato e perseguitato, ha scritto l’inno alla carità. Più speranzoso di lui…

Infine ti chiedo della tua partecipazione all’ultimo Sanremo, in coppia con Massimo Ranieri per una cover di Pino Daniele. Com’è andata?
Calcola che abbiamo provato solo tre ore prima di salire sul palco. Mettici anche i protocolli anti-Covid, le restrizioni e il fatto che Massimo si tiene molto libero nell’interpretazione, capisci che è stato un ‘buona la prima’. Ci siamo guardati, lui mi ha detto “fratè, speriamo andrà tutto bene”. L’Ariston è un palco non facile. Devo confessarti che Ranieri e Morandi, pur essendo i veterani, prima dell’esibizione erano i più nervosi di tutti.

di Francesco Rossetti

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