Consigli per la prossima vita, nel nuovo libro di Ermanno Cavazzoni

Non era possibile fare un mondo dove non si moriva? Sì, si poteva… ma scadono le mozzarelle, scade il tonno in scatola, scadiamo anche noi umani; non è una tragedia per la mozzarella, neanche per noi”. Con “Manualetto per la prossima vita” (Quodlibet) Ermanno Cavazzoni (foto), scrittore reggiano trapiantato a Bologna, quindi spesso di passaggio a Modena, torna in libreria con una sorta di compendio di istruzioni per non ricadere negli stessi errori e nelle stesse ingenuità nella prossima esistenza, se ci sarà. Un libro spiazzante, divertente, che mescola satira e filosofia.

Cavazzoni, dicono che in libreria i manuali si vendano bene. Lei che rapporto ha con questo genere?
Di manuali ne leggo anch’io molti. Quelli Garzanti, per esempio, li ho sempre trovati utilissimi. A casa ho anche i vecchi manuali Hoepli di inizio secolo: meravigliosi. Sì, volevo preparare anch’io una serie di schede che, se per caso uno tornasse al mondo in un’altra vita, come certe religioni dicono, e se avesse letto questo manuale e se lo ricordasse, ecco forse qualche vantaggio nella prossima vita ce l’avrebbe.

Si dice che di vita però ne abbiamo una sola…
Ma tutti abbiamo questa idea che ci sia un’anima, che ci siano spiriti che continuino a parlarci, che ognuno di noi con la sua morte non abbia finito, come dicono. Se fosse vero, questo manualetto servirebbe, altrimenti è semplicemente un libro che parla di cose, diciamo così, metafisiche: il vivere, il morire, se c’è il diavolo e come si è molto rimodernato e ha preso altri aspetti. Come gli extraterrestri che han preso il posto delle apparizioni della Madonna. Parlo di tutte queste cose che sono un po’ ai margini, ma che tutti conoscono, e ne parlo abbastanza seriamente.

Ma nel mondo ci sono molte credenze improbabili…
Infatti parlo anche dei terrapiattisti, e mi piacciono molto. Perché la loro è una completa pazzia. La teoria che ritiene la terra sia piatta sarebbe di una complicazione estrema, perché non riuscirebbe a spiegare tante cose.

Chi è il diavolo oggi?
Per gli anacoreti, per quelli che pregavano nel deserto il diavolo era la distrazione. Lo si legge nei racconti delle vite dei santi del deserto. Il diavolo era un suono che arrivava, il vagito di bambino che si sentiva, allora il monaco interrompeva la sua elevazione e si distraeva. Solo più tardi il diavolo è diventato quel tipo vestito da gran signore, alla Faust. Oggi tutto il mondo – internet prima di tutto, oltreché la televisione – offre una distrazione irrilevante, nel senso che dice solo sciocchezze. Informa su come si fa ad avere la pelle più liscia, come mandar via un brufolo, scemenze una dietro l’altra e questo avvelena lo spirito.

È il mondo che ci circonda a essere assurdo o siamo noi?
Non farei questa distinzione perché noi siamo il mondo. Se non ci fossimo, il mondo non saprebbe di esistere. Siamo la consapevolezza del mondo. Ma certamente il mondo è pieno di cose assurde. Ad esempio il pressappoco. Tutto nel mondo fisico dell’universo è pressappoco. La terra ce la immaginiamo rotonda, una sfera perfetta, invece è schiacciata. Gira intorno al sole, ma non produce un cerchio, piuttosto un ovale. Quando parliamo, ognuno di noi usa parole diverse, però – pressappoco – ci capiamo. Dal punto di vista della geometria, tutto è un po’ storto. Anche la vita umana e la società.

Non solo l’uomo, anche la natura ha i suoi difetti?
Parlo della velocità della luce, che è stata una grande scoperta. Beh, mi verrebbe da dire che come sistema metropolitano del nostro sistema solare la luce è ottima. È velocissima: dal sole la luce impiega solo otto minuti ad arrivare, un tempo formidabile; dalla luna meno di un minuto. È una velocità adatta al nostro sistema solare. Ma se consideriamo la Via Lattea, la nostra galassia, in quel caso la luce per andare da un estremo all’altro ci impiega centomila anni, e penso che dovrebbero metterci a disposizione dei treni di luce più rapidi. Mi sembra una cosa venuta un po’ male.

L’ultimo capitolo è dedicato a Kafka, di cui ricorrono i 100 anni dalla morte: perché questo omaggio?
Kafka ha avuto una vita di poca soddisfazione. Non ha pubblicato nessuno dei suoi romanzi, solo qualche raccontino; è morto mentre correggeva le bozze. Per contro tantissimi autori a lui contemporanei, all’epoca ricevevano premi. È un’ingiustizia? Apparentemente sì, ma mi viene da concludere che Kafka ha semplicemente avuto la vita di Kafka, la sua. Ognuno di noi nel mondo fa la parte che gli è stata assegnata: non so da chi, ma è questa.

di Francesco Rossetti

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