Michael Schumacher, l’uomo dietro il mito: lo racconta in un libro Alfredo Giacobbe

A dieci anni dal terribile incidente sugli sci sulle Alpi francesi, a venti dall’ultimo Mondiale vinto a bordo della Ferrari, a trenta dal primo mondiale con la Benetton, un libro ripercorre la vicenda sportiva e umana di Michael Schumacher. L’ha scritto Alfredo Giacobbe per 66thand2nd, una casa editrice di qualità che si interessa allo sport in quanto lente di ingrandimento della società. “Attraverso lo sport”, spiega l’editore, “il modo in cui viene seguito, le tifoserie, il business che gli ruota intorno, si può compiere un corso accelerato in una determinata cultura”. Il libro è “Michael Schumacher. L’uomo dietro la visiera” (256 pagine, 20 euro). A sua volta Giacobbe collabora in modo continuativo con “L’Ultimo Uomo”, una delle migliori riviste di sport online.

Alfredo, com’è nata l’idea di dedicare un libro a Schumacher?
L’idea nasce proprio perché sono passati vent’anni dai successi: adesso abbiamo una distanza tale che può permetterci un’analisi approfondita della figura di Schumi. Prima potevamo limitarci solo all’elenco delle vittorie e delle sconfitte, ora si può fare racconto perché emotivamente siamo un po’ meno coinvolti. Non è un caso che molte delle persone che hanno lavorato con Schumacher hanno cominciato a produrre testimonianze, documentari, biografie. In più, Michael è una persona che ha perduto la propria voce, quindi l’idea di dedicargli un libro è anche quella di restituirgliela.

Schumi arrivò alla Ferrari in una situazione di crisi prolungata e la portò al successo: quale il segreto di quella svolta?
Lui ha capito che la Formula 1 è uno sport di squadra. In macchina ci sale lui, ma in realtà il pilota deve fare in modo che tutti gli altri provino le sue stesse sensazioni. È stato un catalizzatore di attenzioni, di sforzi. Coinvolgeva tutti: le persone che lavoravano in fabbrica e non scendevano in pista, i cuochi, gli inservienti. Non si stancava mai di parlare con tutti. C’è questo aspetto di Schumi che all’epoca fu poco raccontato. Questa sua attitudine ha permesso alla Ferrari di mettere tutti gli ingranaggi a posto. Grandissimi investimenti erano stati già fatti negli anni precedenti. Ne furono fatti anche dopo il suo arrivo, ma se non ci fosse stato lui a coinvolgere tutti in modo da andare tutti nella stessa direzione, beh, non sarebbero stati raggiunti quei risultati.

Veniva spesso rimproverato di non parlare italiano, giusto?
In realtà l’italiano lo parlava anche abbastanza bene. Solo distingueva tra pubblico e privato. Faccio un esempio. A fine 1999 andò ospite da Raffaella Carrà a “Caramba, che sorpresa”. Finché la Carrà gli rivolse domande sul privato, lui rispose in italiano. Appena gli chiese qualcosa sul lavoro, passò all’inglese. Per lui c’era una separazione netta tra i due mondi: affettivo e lavorativo. Preferiva parlare di lavoro in inglese anche con i giornalisti italiani per non offrire la possibilità di venire frainteso.

Gli ultimi anni in Mercedes: un evitabile declino?
In effetti molti preferiscono non ricordare la seconda parte della sua carriera. Una vicenda che va contestualizzata. Nei confronti del marchio Mercedes lui si sentiva in debito. C’erano persone che lo avevano aiutato ad accedere al circo della Formula 1. Lui voleva chiudere quel cerchio. È stato il classico passo più lungo della gamba. Nel frattempo, dal 2006 al 2009, un periodo che lui stesso chiamava pensionamento, la Formula 1 è cambiata moltissimo e lui non se n’è reso conto. In più vennero vietati i test privati. La sua forza era la ripetitività del gesto: nel momento in cui lui non può salire in macchina se non nel weekend della gara, ecco che finisce la sua forza.

Infine una curiosità: il tuo libro porta in esergo la frase di un kamikaze giapponese. Forse per fare il pilota di Formula 1 bisogna essere un po’ kamikaze?
No, più che altro è riferito in modo specifico alla figura di Schumacher, in linea con quel tipo di visione e di psicologia. Con quella frase volevo sottolineare da subito che c’è una differenza tra il pilota e l’uomo. Tra chi è disposto a tutto nell’esercizio del proprio mestiere e chi invece nel proprio privato è una persona completamente diversa. Quella lettera scritta da un kamikaze ai suoi genitori la sera prima di andare ad attaccare una porta aerea americana è di una lucidità fuori dal comune. La stessa lucidità e dedizione che si riscontravano in Schumacher.

di Francesco Rossetti

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