Storie di Sport: l’epopea del ‘Negro Volante’, nel libro di Alberto Molinari

“Major Taylor. Il negro volante” (Ediciclo) è il libro di Alberto Molinari che ricostruisce la biografia del primo ciclista di colore (foto), a cavallo tra ‘800 e ‘900, un pioniere nella lotta al razzismo nello sport, la cui popolarità superò i confini degli Stati Uniti, diffondendosi in Europa, compresa l’Italia, e perfino in Australia.

Molinari, come si è imbattuto nella storia di Major Taylor?
Da tempo mi occupo di storia dello sport e mi sono imbattuto nella vicenda di Taylor qualche anno fa mentre stavo facendo una ricerca sulle origini del ciclismo in Italia. Sulla stampa italiana veniva dato grande risalto a questo atleta, presentato come uno dei più grandi ciclisti dell’epoca. Avevo pensato di scrivere qualcosa su di lui, ma avevo il problema delle fonti. Poi ho scoperto che un’università americana ha messo in rete gli album nei quali Taylor raccoglieva gli articoli degli organi di stampa americani ed europei a lui dedicati. A quel punto avevo molti materiali, ai quali ho aggiunto la sua autobiografia e vari testi pubblicati negli Stati Uniti.

Che tipo di gare si correvano all’epoca?
Taylor fu un grandissimo corridore su pista tra fine ‘800 e inizio ‘900 quando il ciclismo su strada non si era ancora affermato, mentre quello su pista era molto popolare. Il pubblico riempiva i velodromi nei quali si svolgevano le gare di velocità e intorno a questa disciplina si era creato un notevole giro di affari. All’epoca la bicicletta era un simbolo di velocità e di modernità, e la pista si prestava ad esaltare questo aspetto. Una delle corse più seguite era le “sei giorni”, una prova di resistenza che comportava uno sforzo fisico estremo. Per sei giorni e sei notti i ciclisti correvano con l’obiettivo di coprire il maggior numero di chilometri, riposandosi solo per poche ore ai bordi della pista.

Quali erano le caratteristiche di Major?
I migliori ciclisti professionisti erano in genere figure imponenti che contavano sulla potenza sprigionata da una massiccia struttura muscolare. Taylor invece era di media statura e con una muscolatura fine e armoniosa. Mentre all’epoca i ciclisti tendevano a sporgersi sul manubrio mantenendosi inclinati in avanti, Taylor teneva la sella della bicicletta piuttosto bassa rispetto al manubrio per stare con la parte superiore del corpo in una posizione aereodinamica, quasi orizzontale. Inoltre, a differenza di molti corridori che si muovevano a strappi, il busto di Taylor rimaneva praticamente immobile mentre le gambe si muovevano apparentemente senza sforzo.

È vero che il ciclismo di fine ‘800 era uno sport elitario?
Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, negli Stati Uniti come in Europa, l’ingombrante velocipede venne sostituito dalla più maneggevole bicicletta. Non essendo prodotta in serie, la bicicletta costava molto e fu in un primo momento appannaggio dalla borghesia. La creazione di modelli più economici consentì poi una democratizzazione del mezzo che iniziò ad essere utilizzata dai ceti popolari per recarsi al lavoro. La crescita della domanda stimolò lo sviluppo dell’industria ciclistica e la creazione di un’ampia rete di vendita che consentirono un’ulteriore diminuzione dei prezzi, ma solo nel corso del Novecento la bicicletta diventò un mezzo veramente popolare.

Il razzismo con cui si confronta Taylor è diverso da quello di oggi o ci sono forti similitudini?
Alla fine dell’Ottocento come nel resto della società americana anche nel mondo dello sport era stata introdotta la segregazione razziale, la cosiddetta color line, la linea del colore che separava i neri dai bianchi, impedendo gli afroamericani di partecipare alle competizioni organizzate dai bianchi. Per una serie di motivi Taylor riuscì faticosamente ad entrare nel circuito ciclistico ufficiale ma si trovò di fronte ad altre forme di razzismo. Una parte significativa dei ciclisti bianchi per invidia e a causa dei pregiudizi razziali si coalizzò per ostacolarlo in tutti i modi, commettendo scorrettezze per impedirgli di vincere e aggredendolo fisicamente. Quando correva negli Stati del Sud gli veniva impedito di avere accesso a ristoranti e alberghi, per motivi razziali. Oggi il contesto è evidentemente diverso, ma fenomeni razzisti purtroppo persistono anche nello sport.

Perché la vicenda umana di Taylor va a finir male?
Quando Taylor smise di correre era un uomo ricco grazie ai guadagni accumulati nella sua carriera ciclistica. Poi ebbe una serie di disavventure finanziarie e si trovò povero, emarginato e dimenticato nel pieno della crisi del ’29. Si ammalò di cuore e morì in solitudine nel 1932 a 53 anni. Negli Stati Uniti la sua figura è stata riscoperta in tempi relativamente recenti e finalmente è stato riconosciuto il suo valore.

di Francesco Rossetti

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