Matteo Cotali è arrivato a Modena la scorsa estate, reduce dalla vittoria del campionato con il Frosinone, ma già a gennaio il ds Vaira lo aveva cercato per risolvere l’annoso problema della fascia sinistra. “Il direttore si era fatto avanti e sarebbe stato disposto anche a pagare dei soldi, ma noi eravamo primi e volevo finire l’anno lì”, racconta il terzino gialloblu. “L’arrivo a Modena è stato ottimo, si vede che è una società fresca, con tanta voglia far bene. Li sbagli li commettono tutti, anche l’Inter e il Milan, e li commetteremo anche noi, ma l’intenzione è quella di fare le cose fatte bene”.
Matteo torniamo alle origini, quando hai dato i primi calci al pallone?
A cinque o sei anni a Concesio, il comune in cui sono nato in provincia di Brescia, per l’esattezza a Sant’Andrea che è la frazione di mio nonno, appassionatissimo di calcio e juventino sfegatato. E’ stato lui a trasmettermi la passione. I miei primi calci li ho tirati nel Sant’Andrea, squadra in cui mio nonno faceva il dirigente.
Poi sei passato al Lumezzane, ai tempi una società importante della zona…
E’ vero, in quel periodo era in C1 e, dopo il Brescia, era la società più importante a livello giovanile. Al Lumezzane sono stato quattro anni e ho incontrato allenatori bravissimi, Bresciani, Donà e Bertoloni, che mi hanno aiutato tanto a crescere.
Giocavi già terzino?
No, ho iniziato come centrocampista centrale, ai tempi per la mia età ero parecchio strutturato e venivo notato. Successivamente mi hanno spostato esterno, poi hanno capito che di gol ne facevo pochi e mi hanno arretrato a terzino. Secondo me è il ruolo che più si addice alle mie caratteristiche.
Poi è arrivata l’Inter…
A Milano ho fatto cinque anni. Vincemmo giovanissimi nazionali e allievi nazionali con ragazzi come Di Marco, Di Gregorio e Bonazzoli, un’annata importante. Loro hanno la fretta di sfornare giocatori in continuazione, però lì impari a stare con i grandi, a capire che questo può diventare un lavoro.
Eri anche tifoso dell’Inter?
In realtà no, da piccolo ero milanista, anche se, onestamente, non mi faceva impazzire vedere le partite, mi piaceva più giocare.
Dopo l’Inter il Cagliari, un bel cambiamento da Milano alla Sardegna…
Un bel salto nel vuoto direi. All’Inter decisero di non confermarmi e mi si presentò la possibilità di andare a Cagliari. La società era stata appena rilevata da Giulini, quindi una proprietà milanese, e cominciarono a prendere dei giocatori da fuori. Io mi sono buttato e ho trovato un ambiente fantastico, dall’allenatore ai ragazzi, alcuni dei quali li sento tuttora. Avevo appeno compiuto 18 anni ed ero da solo, a parte un mio compagno dell’Inter. Devo dire che cambiare regione, conoscere persone diverse, mi ha aiutato un sacco.
Il tuo esordio tra i grandi fu all’Olbia, sempre in Sardegna…
Il Cagliari aveva l’Olbia come società satellite e mi mandò a fare sei mesi con loro in serie D. Vincemmo i play off e salimmo in serie C. Quei sei mesi mi servirono moltissimo, in squadra c’erano dei padri di famiglia, gente che giocava per far campare i propri figli, e in quelle situazioni si capisce l’importanza dei tre punti, degli allenamenti e via discorrendo. Ad Olbia ho fatto tre anni di Lega Pro, ho avuto la possibilità di giocare tanto, di sbagliare e imparare, e ho conosciuto diversi ragazzi, da Feola a Francesco Pisano, figure importanti nel mio processo di crescita.
Ad Olbia tra l’altro hai segnato il tuo unico gol. Te lo ricordi?
Come no, la partita era Olbia-Alessandria. Fu uno schema da calcio d’angolo costruito bene, un bel gol e una bella emozione. Segnare un po’ mi manca, qualche gollettino in più bisogna che riesca a farlo, speriamo con la maglia del Modena.
Da ragazzino chi era il tuo modello calcistico?
In realtà non mi sono mai fissato su un calciatore in particolare. Il mio sogno da ragazzino era la Nazionale, poter giocare per il proprio paese è una cosa che mi ha sempre affascinato.
In serie B hai esordito con il Chievo, come ci sei arrivato?
Ci sono arrivato entrando in qualche scambio e ci sono rimasto due stagioni. Sono stati due anni tosti, ero ragazzo, loro arrivavano da una retrocessione e io ho fatto fatica soprattutto il primo anno, probabilmente non ero ancora del tutto pronto a reggere certe situazioni. Ho giocato poco, però anche quelle esperienze ti servono. Conosci persone nuove, ti aiutano, ascolti delle storie, impari. La fortuna ha voluto che, dopo il fallimento del Chievo, mi sono ritrovato a Frosinone.
Il Frosinone non era tra le favorite, poi però…
Siamo partiti con un gruppo fantastico ed è quello che ha fatto la differenza. In B, più che i singoli, vince la squadra più forte e in tal senso ci sono tanti fattori, dai magazzinieri, ai fisioterapisti, alla società, al presidente. A Frosinone ho trovato persone davvero fantastiche che hanno dato un’impronta alla squadra e ci hanno permesso, partita dopo partita, di cominciare a credere di poter fare davvero qualcosa di impensabile.
Avevi già giocato al Braglia?
Solo lo scorso anno. C’era il pienone perché era la prima in B del Modena, la gente cantava e, mentre facevamo riscaldamento, qualche compagno ne rimase colpito, non ci aspettavamo tanto entusiasmo.
A Modena città come ti trovi?
Molto bene, vivo in centro, lo si può girare a piedi in dieci minuti ed è bellissimo. E’ proprio comodo, vengo a piedi anche allo stadio. La gente poi ci ha sempre seguiti, anche nei momenti di difficoltà ci hanno sempre fatto sentire il loro supporto.
Nel tempo libero cosa ti piace fare?
Mi piace moltissimo il basket, mi ha trasmesso la passione mio fratello. Seguo molto l’NBA, la Serie A, l’Eurolega, mi appassiona anche il modo che hanno di sponsorizzarlo e di vivere la partita. E poi mi piace leggere, romanzi storici, ma anche libri su aspetti mentali, racconti etc.
E’ vero che anche tu, come Tremolada, hai la passione per One Piece?
Si, è una passione che avevo già prima di venire qui, ma guardavo solo il cartone animato. Con Luca ho cominciato a leggere anche il manga. Diciamo che ci siamo trovati.
Oltre a Tremolada, con quali compagni hai legato in particolare?
Ho un buon rapporto con tutti, ma se devo fare qualche nome dico Romeo Giovannini che ho vicino di posto ed è un ragazzo fantastico. Poi Pergreffi, Falcinelli, Strizzolo. Ogni tanto usciamo a bere qualcosa, mi fanno vedere la città, qualche vicolo o localino che loro conoscono meglio.
Paolo Bianco è un mister nuovo, come ti stai trovando con lui?
Secondo me sta cercando di proporre un calcio nuovo e una mentalità un po’ diversa e a piccoli passi penso si stia vedendo, al di la dei risultati che credo siano una conseguenza. Il mister ha tanta voglia di fare e propone concetti molto innovativi. Noi stiamo cercando di seguirlo il più possibile, a volte ci riusciamo di più altre meno, però la strada che abbiamo intrapreso con tutto lo staff è quella giusta.
Sui social ci sei?
Si ci sono, ma li uso soprattutto per informarmi, non ne sono un grande amante e più passa il tempo più mi si affievolisce la passione.
Se non fossi riuscito a fare il calciatore cosa avresti fatto?
Da piccolo mi piaceva moltissimo giocare con i Lego e avrei voluto fare l’architetto o qualcosa di simile. Tra l’altro ho studiato da Geometra. Oppure, visto che l’attività fisica mi piace un sacco, avrei potuto fare il personal trainer o l’allenatore dei ragazzini.
di Giovanni Botti