L’autore e regista francese Pascal Rambert, Premio del Teatro dell’Académie Française 2016, dopo Architecture ospitato a VIE Festival 2020 e le versioni italiane prodotte da ERT di Clôture de l’amour, Répétition (Prova) e Sœurs (Sorelle), torna a Modena al Teatro Storchi il 27 e il 28 gennaio con la prima nazionale del suo nuovo lavoro, Mon absente. La pièce coinvolge un ampio cast composto da artiste/i emergenti e grandi nomi fra i quali Audrey Bonnet, storica collaboratrice di Rambert, e Stanislas Nordey, attore e regista che ha commissionato l’opera quando era direttore del Teatro Nazionale di Strasburgo, ruolo ricoperto fino al 2023. Lo spettacolo è una coproduzione internazionale che vede Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale al fianco di Châteauvallon-Liberté scène nationale, TNS – Théâtre National de Strasbourg, ExtraPôle Provence Alpes Côte d’Azur*, La Criée-Théâtre National de Marseille, Théâtre Gymnase-Bernardine, Théâtre National de Nice.
Dopo i testi di Architettura e Sorelle (Marina & Audrey) usciti nel 2020, ERT / Teatro Nazionale con Luca Sossella editore pubblica quest’anno Mon absente, con la traduzione e la cura della docente dell’Università di Bologna Chiara Elefante e una sua intervista a Pascal Rambert a introdurre il volume. Nato da un progetto su commissione rivolto ad attrici e attori associate/i al Teatro Nazionale di Strasburgo, Mon absente affronta il tema della morte e del vuoto che questa lascia a chi rimane. Il punto di partenza è stato riscontrare, tra i nomi delle artiste e degli artisti da coinvolgere, l’assenza di Véronique Nordey nota attrice del teatro francese e madre dello stesso Nordey, scomparsa nel 2017 e con cui Rambert avrebbe voluto collaborare. “Sto scrivendo in sua assenza – commenta il regista – ma non si tratta di una biografia. Nel frattempo è mancato anche mio padre e il progetto si è gradualmente trasformato, e ora Véronique è una figura di finzione […] Mon absente è il ritratto di una donna che non c’è più attraverso le storie di coloro che sono rimasti”.
Immersi in uno spazio “chiuso, calmo e profondo” gli spettatori si trovano in un luogo ai margini della vita, insieme a una comunità di persone in lutto, amici e parenti che si riuniscono attorno al feretro di una donna. Raccolti nel dolore, le lingue si sciolgono e le lacrime sgorgano, finché non riemergono i ricordi di un tempo passato, che vanno a tratteggiare le caratteristiche della persona ormai scomparsa. Indossano abiti scuri, sobri e tristi, in cui risalta il candore della pelle e dei volti. Tale effetto è amplificato anche dal disegno luci di Yves Godin – storico collaboratore di Rambert – che ha lavorato per “far emergere la luce dal buio» quasi come fosse l’emanazione “dell’aura” dei personaggi. L’apparizione di corpi dall’oscurità – spiega l’autore – ha a che fare con l’invisibile, con la parte della fantasia, con ciò che accade nel cuore e nei recessi della mente. Si tratta di pezzi inconsci, l’innominabile, il desiderio, la mancanza“.
Ad animare la scena, è un cast di attrici e attori di diverse provenienze e generazioni “che si confrontano con la verticalità dei loro corpi e il calore del loro respiro di fronte alla scomparsa, al mistero della morte. All’esplosione della perdita. Riuniti nel dolore, gravitano come satelliti intorno a una bara cosparsa di fiori. […] In questo scenario di dolore e contemplazione, la parola mantiene in vita e fa convivere, nel bene e nel male, i vivi“.
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Biglietteria: dal martedì al sabato ore 10.00 – 14.00; martedì e sabato anche ore 16.30-19.00
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