Valter Malosti, un outsider per il nuovo corso di ERT

Ert ha un nuovo direttore. Si chiama Valter Malosti (nella foto, a destra dell’ex sindaco Giuliano Barbolini). È nato a Torino, città intorno alla quale ha sempre gravitato. Dopo Valenti e Longhi, ecco dunque un attore, oltreché regista e uomo di teatro a tutto tondo. La sua nomina è stato una sorpresa: nessuno se l’aspettava, nemmeno lui in fondo, come ha candidamente ammesso alla conferenza stampa di presentazione. Potremmo definirlo un outsider, se non fosse che in realtà Malosti fa teatro da una vita. Eppure sì, visto da Modena è un outsider. Anzitutto perché, per usare una formula ricorrente, non è espressione del territorio come i precedenti direttori. Anche i suoi spettacoli sono entrati raramente nei cartelloni emiliano-romagnoli. Forse nessuno a Torino ha mai preso in considerazione il suo nome per la direzione del Teatro Nazionale sotto la Mole. Questo di per sé non è un male, anzi. La distanza aiuta a valutare le qualità di una persona. Nel presentarsi, Malosti ha letto un discorso programmatico di cui riportiamo fedelmente qualche passaggio nella forma dell’intervista, un escamotage per rendere la lettura più leggera e meno dispersiva.

Malosti, la sua storia teatrale tiene un piede nella ricerca e l’altro nella prosa. La sua direzione verso quale linguaggio propenderà?
Ho scelto da sempre di lavorare lungo il crinale sottile e impervio che separa la tradizione dalla ricerca. Ma questa via deve contenere al suo interno la forza di dialogare con entrambe, alla scoperta di un ‘teatro popolare d’arte’ che vuole parlare allo spettatore tutto intero, in cui l’emozione e il processo di elaborazione intellettuale sono un corpus unico che ogni volta vive di una propria autonomia estetica e poetica.

Nel panorama nazionale Ert si è sempre distinta per un’attenzione particolare al nuovo. Lei confermerà questa linea?
Oggi in Italia in ambito teatrale esiste un vuoto istituzionale legato all’innovazione e al tema della produzione di opere contemporanee. Ert potrebbe diventare capofila e volano di questa rinascita, proseguendo, definendo e ampliando il lavoro che da alcuni anni lo caratterizza. La cultura dell’innovazione è essenziale. Bisogna guardare al di là di quello che già si conosce.

La formazione? Quanto è importante per lei?
Ho diretto per otto anni la scuola per attori del Teatro Stabile di Torino e recuperare la centralità dell’attore è per me una prospettiva fondamentale. Occorre formare una nuova generazione di attori recuperando il legame tra la grande tradizione attorica italiana e il composito percorso delle avanguardie del secondo novecento che porta alla complessità della performance contemporanea. Non è cosa molto nota, ma metà degli interpreti di quel magnifico lavoro di Antonio Latella che è “Santa Estasi” erano miei allievi.

Altra caratteristica di Ert è la sua spiccata vocazione internazionale. Cosa pensa di fare a riguardo?
Allargare l’appeal internazionale dei teatri dell’Ert e delle relative produzioni creando collaborazioni in tutta Europa, andando a cercare anche nuovi partner internazionali. Presentare il teatro dei grandi maestri internazionali e continuare a scoprire talenti come è stato fatto virtuosamente in passato. Occorre inoltre ripensare all’identità e al rilancio di Vie Festival, che ritengo un tassello fondamentale per le nostre già rilevanti relazioni internazionali, e per la possibilità di conoscere altri mondi creativi.

Siamo ancora alle prese con una pandemia che ha annichilito il mondo dello spettacolo, e del teatro in particolare, spingendolo verso snaturanti versioni online. Come ne pensa del teatro in streaming?
In questo scorcio di tempo abbiamo capito quanto le nuove tecnologie non siano neutre, ma vadano studiate profondamente e comprese. Non possono sostituire in nessun modo il teatro, ma ci aprono affascinanti prospettive che sono da esplorare, se le si osserva senza pregiudizio. Le più immediate riguardano la possibilità di espandere la platea degli spettatori. Le più lontane e ancora da scoprire riguardano l’empatia e la relazione: come sviluppare una tecnica calda da tutto questo freddo tecnologico.

Il teatro continua ad essere un piacere per pochi: come allargare il pubblico e farlo diventare più centrale nella vita di una comunità?
Per me un Teatro Nazionale dovrebbe portare il teatro a tutti. Allargare il pubblico e conservare quello esistente. Uno dei punti principali della mia direzione sarà anche l’attenzione alle esperienze teatrali legate al sociale, alle periferie, alle carceri, al disagio mentale. Oltre ai luoghi di grande disagio occorre puntare la nostra attenzione sulle Scuole, sui Quartieri, sui Centri anziani. Non servono figure di riferimento con ruoli astratti, ma una squadra di persone che lavorino sul territorio: Creare Comunità.

di Francesco Rossetti

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