L’intervista all’assessore Bortolamasi: “Non chiamatele baby gang”

Con il prolungarsi dell’emergenza sanitaria, le misure di contrasto al contagio cominciano davvero a generare problemi di tenuta, economica e psicologica: gli adolescenti frequentano la scuola a singhiozzo e paiono oscillare tra isolamento casalingo in modalità hikikomori e sfoghi collettivi che si manifestano sotto forma di risse in strada. La cultura è un tema congelato, missing dal dibattito pubblico. In questo scenario Modena come si muove e come si prepara alla ripartenza post-pandemica? Lo chiediamo ad Andrea Bortolamasi, assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili, partendo proprio da queste ultime. “Quello dei ragazzi è un argomento che mi sta particolarmente a cuore. Con la pandemia sono stati privati di spazi fondamentali per la loro formazione e crescita: occasioni di socialità, eventi culturali, lo sport. Vivono un disagio profondo, ma certo parlare di baby gang a Modena è inappropriato e perfino macchiettistico, perché non viviamo in un ghetto di Los Angeles. Al netto delle azioni rivolte alla tutela del vivere civile e di contrasto a ogni forma di illegalità, credo che supplire alle occasioni di incontro e di relazione sia uno dei compiti che dobbiamo provare a darci”.

Per esempio?
“Penso a un’articolata serie di interventi: dal percorso formativo e di orientamento al lavoro con “Comunità Maiuscole” all’impegno sul servizio civile universale e regionale. Penso alla youngERcard che tocca l’ambito del volontariato e permette di entrare in contatto con percorsi qualificanti. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di un loro protagonismo, è importante lavorare sulle cause del disagio e non guardare solo agli effetti. Penso al progetto dell’educativa di strada. Lavorare in rete: meno slogan e un’azione la più profonda possibile”.

Passiamo al tema cultura: la chiusura si prolunga da quasi un anno e ora c’è chi comincia ad avere serie difficoltà economiche o ha addirittura cambiato lavoro…
“È un problema serio, la cultura è un ecosistema fragile che ha subìto una ferita profonda. Le risorse e la capacità di resistenza si stanno esaurendo. Purtroppo c’è anche un pensiero “non detto” alla base: perché il Comune dà i soldi alle associazioni culturali, quando ci sono ben altre emergenze? Ecco, dobbiamo partire da un presupposto opposto: la cultura è un comparto produttivo, una risorsa irrinunciabile. Deve uscire un grido d’allarme forte. Una città che rischia di perdere competenze e creatività è una città più povera. Non possiamo permettercelo. Chiedo rispetto, a partire dal Governo nazionale, e soprattutto risposte, perché la cultura vive di progettualità e programmazione. Un teatro o un cinema non si aprono dall’oggi al domani”.

Si mette molta enfasi sull’alternativa digitale per la fruizione culturale: può bastare?
“Ovviamente no. Il digitale può servire a mantenere un filo con un pubblico che di fatto non si è mai allontanato. Tuttavia con lo streaming siamo arrivati quasi a un’ipertrofia. Si è calato in rete di tutto. Adesso c’è un effetto di saturazione. In più lo streaming non sostituisce la ricchezza dell’esperienza dal vivo”.

Le biblioteche: è molto strano vedere questi posti deserti…
“Torno a ripetere che l’emergenza c’è ma dovrebbe essere affrontata anche in una dimensione di prospettiva: non si può passare dal tutto chiuso al tutto aperto. Serve una gradualità che vale anche per le biblioteche. Queste non possono fare solo prestito su prenotazione: per molti ragazzi, ma anche dottorandi e professori, le biblioteche sono luoghi di lavoro dove si fa ricerca, consultazione. Si potrebbe avviare qualche sperimentazione: aprirle al mattino per i ricercatori, al pomeriggio per gli studenti, immaginando ingressi scaglionati, in numero contingentato, con orari e giorni di apertura diversi”.

In termini di prospettiva, Modena si candida a Città creativa Unesco? Com’è nata l’idea di puntare sulle Media Arts?
“È stato un processo lungo, nato da una riflessione sulle trasformazioni che la città stava maturando a partire dalle opere di rigenerazione urbana sui grandi contenitori industriali ed ex industriali, dall’ex Amcm alle ex Fonderie, al Sant’Agostino. Hanno tutti la caratteristica di ridefinirsi nell’ambito culturale, guardando a come le tecnologie possano trovare applicazione e dialogo con la cultura. La scommessa modenese è mantenere saldi il passato manifatturiero e industriale e provare a trasformarlo nella industria culturale creativa. A breve presenteremo il comitato promotore, il logo e le prime iniziative per accompagnare la candidatura. Saremmo la prima città italiana in questo ambito”.

Una città europea a cui ispirarsi?
“Il processo di trasformazione di Karslruhe, in Germania, è stato notevole, ma penso anche a Linz, città a noi gemellata, e Novi Sad, una delle capitali europee della cultura del 2021”.

 

 

di Francesco Rossetti

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