A teatro puoi debuttare anche a 70 anni: certo, aiuta se sei un blasonato regista cinematografico. Fatto sta che “Diari d’amore” diretto da Nanni Moretti è uno degli spettacoli più attesi dell’anno. Dopo il debutto al Carignano di Torino approda in Emilia, prima all’Arena del Sole di Bologna, quindi, da mercoledì 8 a domenica 12 novembre al Teatro Storchi di Modena. Lo spettacolo mette insieme due brevi pièce che Natalia Ginzburg scrisse alla fine degli anni ’60: “Fragole e panna” e “Dialogo”. In scena cinque interpreti: Valerio Binasco, Alessia Giuliani, Arianna Pozzoli, Giorgia Senesi e Daria Deflorian (foto Luigi De Palma). È quest’ultima, a sua volta anche attrice-autrice insieme ad Antonio Tagliarini di una serie di spettacoli più volte presentati a Modena, a presentare il lavoro e a gettare una luce su cosa vuol dire far teatro, tra esperienze passate e future.
Daria, quali le caratteristiche del Moretti regista teatrale?
Un’estrema fedeltà al testo, perfino ossessiva. Un’attenzione alla lingua di Natalia Ginzburg, alla sua musicalità, come se la verità risiedesse in piccoli dettagli, piuttosto che in un’analisi psicologica delle vicende. Per me è stato un tipo di lavoro diverso dal solito, abituata come sono a misurarmi con un testo che rimane morbido e adattabile sul corpo e sulle azioni degli attori fino all’ultimo momento.
Lei si caratterizza per una forte adesione antiretorica al personaggio: in questo caso come ha ‘fatto sua’ Tosca, la donna di servizio?
Difficile parlarne. Entrano in gioco piccole ‘magie’, c’è la necessità, quasi la superstizione, di non spiegarsele e di non spiegarle troppo, perché da qualche parte possono fare puff e scomparire. Il nostro non è un lavoro matematico, è entrare in scena con la stessa partitura e tuttavia essere presenti a quel momento lì. È una scommessa ogni sera, per quanto sembri ormai determinata. Non posso dire di aver avuto un metodo. Mi sono messa a disposizione, curiosa di ‘spostarmi’. Nello stesso tempo, avendo ormai una storia un po’ solida alle spalle, è stato uno spostarmi portandomi dietro tutto quello che sono.
Con Moretti vi conoscevate già?
Sì, ma un rapporto lavorativo (“Tre piani”), non una conoscenza privata. Lui da sempre va a teatro, negli ultimi anni ancor di più. Ha visto quasi tutti i nostri lavori con Tagliarini.
Le opere della Ginzburg le conosceva già?
Sì, ma la mia era una conoscenza superficiale e sono stata molto felice di approfondirla per avvicinarmi alle prove. “Le piccole virtù” è un capolavoro. Ho riletto “Lessico famigliare” che avevo scorso molti anni fa in un momento in cui ero attratta da altre cose. È stato bello riscoprire la bellezza e l’armonia tra una dimensione intima e una dimensione collettiva vissuta sempre con riserbo, senza auto esaltazioni. Ed è stato bello debuttare a Torino, la città della Einaudi, sono anche andata a visitare la stanza dove Pavese si è tolto la vita.
I testi della Ginzburg, così calati nell’Italia anni ’60, riescono ad arrivare all’universale, come per Cechov?
Era un grande interrogativo dello spettacolo. Mi sembra di sì, di percepire ogni sera un’immediatezza del lavoro che accorcia le distanze con il pubblico, senza che il lavoro abbia fatto alcun tipo di occhiolino all’attualità. È un mondo che ci siamo lasciati un po’ indietro, ma di cui si respira ancora il sapore nei dettagli: i foulard, la varechina, dare la cera…
Questa stagione la vedremo soprattutto come attrice..
Non è la prima volta, penso ai lavori con Lucia Calamaro, Massimiliano Civica e Lotte van den Berg, per fare solo alcuni esempi. Mi è sempre piaciuto nutrirmi del mondo degli altri, mettermi in ascolto, poter ‘appoggiare la testa sul comodino’, cioè in qualche modo far riposare la dimensione autoriale per rinnovare lo sguardo.
In primavera si misurerà con “La vita che ti diedi” di Pirandello: come si prepara?
Adesso l’orizzonte è talmente riempito dalla Ginzburg che aspetto di arrivare a Natale per guardare avanti. È una scommessa: io e Tagliarini siamo stati spesso definiti post pirandelliani. Sarà interessante andare alla fonte del rapporto tra attore e personaggio che è al centro della poetica di Pirandello.
A Modena fu assistente alla regia di Nekrosius per “Anna Karenina”: che ricordi ha di quell’esperienza?
Ero una grandissima ammiratrice dei lavori arrivati in Italia di Nekrosius. Vedere le “Tre sorelle” fu decisivo nel mio percorso teatrale, che contiene sia gli spettacoli che fai che quelli che vedi. Fu un’esperienza fortissima. Ogni tanto mi viene in mente qualcosa che Nekrosius diceva.
Per esempio?
Lui, che faceva spettacoli molto lunghi, diceva: “per me, se uno spettatore si porta via cinque, sei minuti di un lavoro, è già successo molto”. Mi sono resa conto che i ricordi che mi porto dentro non sono mai folgorazioni di tutto un lavoro, ma magari di un passaggio, di una scena, di un suono.
di Francesco Rossetti