“Antonio e Cleopatra” allo Storchi. Intervista al regista ed interprete Valter Malosti

(foto Laila Pozzo)

Mancano tre settimane alla prima assoluta della nuova, attesa produzione di Emilia Romagna Teatro, in programma mercoledì 10 gennaio 2024 al Teatro Storchi di Modena. Le prove proseguiranno sotto Natale e Capodanno fino all’agognato raggiungimento della giusta misura drammatica per restituire sulla scena la tragedia più complessa dell’opera scespiriana: “Antonio e Cleopatra”. A dirigere una compagnia di dodici interpreti è Valter Malosti, anche in scena come Antonio, mentre a conferire fascino e sfaccettature a Cleopatra ci penserà Anna Della Rosa (foto di Laila Pozzo).

Malosti, da quanto tempo aveva in mente di allestire questo testo, così poco frequentato nel teatro italiano?
Più o meno da una decina d’anni. Lo misi in scena nel 2015 a Torino nel cortile del Museo Egizio con una classe formidabile: molti di quegli allievi diedero vita a “Santa Estasi” qui a Modena. Quello spettacolo prese forma d’estate nella formula del double bill: una sera Shakespeare, l’altra “Akhenaton” di Agatha Christie. Ecco, già in quell’occasione pensai potesse essere interessante indagare i personaggi principali impiegando attori più maturi.

Cosa la colpisce del testo?
M’interessa la tensione tra una generazione nuova, rampante e un’altra ancora in forze, ma destinata a soccombere. È una pièce complessa: apparentemente racconta la storia di due amanti e insieme la storia politica della Roma dell’epoca, ma molti studiosi hanno messo in luce tracce di Giordano Bruno, di Copernico. Ci sono fili nascosti, c’è una parte legata al cielo in cui si insiste sul fatto che la terra giri, per quella che all’epoca era ritenuta una delle eresie più potenti che si potesse pronunciare. La straordinarietà di Shakespeare è questa: offrire un testo popolare e insieme impreziosito da tutta una serie di pieghe nascoste. Un’opera di altissima poesia, al tempo stesso molto concreta, attaccato alla nostra esperienza.

L’opera è anche un colossal con decine di personaggi: in che modo ha operato per sintetizzarla?
Sì, questo testo divenne famoso solo nell’800, andando incontro al gusto per l’esotico e per il monumentale. Questa componente monumentale ha probabilmente tolto un po’ di mistero nel tempo, anche se il film di Mankiewicz con la Taylor e Burton non è niente male. Ho tradotto a quattro mani con Nadia Fusini. Con Shakespeare è fondamentale stare a tempo: possiede una musica nascosta tra le righe. Peter Brook diceva che quando realizzava Shakespeare in francese, sentiva di perdere il 50% della bellezza. Ma, come un cercatore d’oro, quello che resta impigliato è talmente prezioso che vale comunque la pena ascoltarlo anche in un’altra lingua.

Con Anna Della Rosa avete già lavorato a “Cleopatràs” di Testori: quanto vi è stato utile?
Ci siamo accorti che Testori aveva colto profondamente lo spirito scespiriano. Trasgredendolo, lo aveva compreso a fondo. Cleopatra è una figura estremamente sfaccettata, dall’incredibile varietà dei toni. Nella sua partitura si susseguono scene comiche, tragiche, passionali, misteriose. Sembrerebbe che per interpretarla ci vogliano 5-6 attrici diverse, tanto è inafferrabile. Per questo Anna mi è sembrata la più adatta a compiere un tragitto interpretativo così impervio.

Antonio e Cleopatra sembrano due amanti pieni di aspettative l’uno sull’altra: è così?
Hanno entrambi il dono dell’immaginazione, con la fantasia creano mondi migliori di quelli che vivono. Ma non ci sono solo loro due: c’è Enobarbo (Danilo Nigrelli), una specie di fratello complice delle malefatte di Antonio, ma è anche una coscienza critica e un’ombra che alla fine lo tradirà. È un personaggio di spessore notevolissimo, all’altezza di uno Jago, eppure quasi sconosciuto nel teatro italiano.

Altri personaggi particolarmente rilevanti?
Per esempio Ottavia che rappresenta il contraltare femminile di Cleopatra. E ci sono i due rampolli di Giulio Cesare, Ottaviano e Agrippa: per loro ho voluto due attori molto giovani.

C’è un filo che accomuna “Lazarus” dello scorso anno a questa nuova regia?
No, ogni volta che faccio uno spettacolo, cerco di concepirlo in modo completamente diverso dall’altro. Quando ti inoltri in una regia, è come se conoscessi un mondo nuovo. Questa è stata un’avventura molto profonda, che spero possa essere compresa da un pubblico ampio. È  davvero un testo meraviglioso e raro. Quando guardavo gli spettacoli del mio maestro Luca Ronconi, riflettevo su quanto valore civile ci fosse nel far conoscere un testo importante. Stiamo degradando le nostre radici espressive. Shakespeare ne fa parte, dobbiamo appropriarcene, godendo della sua complessità.

di Francesco Rossetti

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