Il disco controcorrente dei Flexus: l’intervista a Gianluca Magnani, voce e chitarra del gruppo

È uscito il 6 ottobre ed è disponibile su tutte le piattaforme digitali (oltreché nei pochi negozi di dischi rimasti) “Le orchestre non suonano più”, il nuovo album dei Flexus, band carpigiana che celebra vent’anni di storia musicale. Dodici tracce, oltre cinquanta minuti di musica, tantissime idee e suggestioni dentro canzoni immediate e altre destinate a crescere nel tempo. Ne parliamo con Gianluca Magnani, voce e chitarra del gruppo che vede Daniele Brignone al basso e Enrico Sartori alla batteria.

Gianluca, come e quando ha preso forma il disco?
È frutto di tanto tempo dedicato, fuori dalle regole, dai tempi, un po’ come i vecchi dischi di una volta. Avevamo tempo (ndr. leggi lockdown), l’abbiamo considerato un lusso, abbiamo creato tutto con molta cura, collaborando con Alessandro Pivetti, di- versi musicisti, la Banda Bignardi di Monzuno. Nel tempo abbiamo fatto uscire alcuni videoclip: ‘Pugni in tasca’, ‘Tu dov’eri’ (regia di Enrico Mescoli), ‘Dieci piccoli accorgimenti’, ‘E allora tu’ ed ‘È tutta colpa dell’amore’”.

Il titolo dell’album come l’avete scelto?
È arrivato per ultimo. In un periodo di individualismo cercato o imposto, dove chi faceva musica la faceva da solo, davanti a un computer, almeno nella maggior parte dei casi, anche per via dell’impossibilità di suonare dal vivo, noi abbiamo fatto un disco orchestrale. È stato un progetto collettivo, controcorrente”.

Parliamo dei brani: “Pugni in tasca” vi vede collaborare con il Coro delle Mondine di Novi…
La canzone racconta la storia di Diva, Lidia e Silva, le tre fondatrici del coro. Le abbiamo conosciute, una di loro è ancora viva. Anche mia nonna è stata mondina. Parlare di loro significa parlare delle nostre madri, delle nostre nonne, della figura femminile, di quanto è stata importante in quel passaggio cruciale della storia italiana che è stato il dopoguerra. Una mondina ci diceva che quando si è sposata aveva con sé una forchetta. Niente più. Mi hanno sempre colpito il loro spirito, un’ironia anche non convenzionale, senza folklore, che le rende comprensibili senza filtri. Possono cantare in dialetto in Canada o a Philadelphia e il loro messaggio passa immediato. Siamo ancora addolorati per la scomparsa della direttrice Maria Giulia Contri, una grande amica”.

“È tutta colpa dell’amore”: nel testo a chi ti rivolgi o immagini di rivolgerti?
A me stesso. È una canzone che ho tenuto tantissimo tempo nel famoso cassetto: mi ha curato in certi momenti non troppo luminosi, che sono poi quelli che possono vivere tutti. C’è dentro un pensiero a chi supera delle sfide incredibili, quando pensiamo di dover sconfiggere i vari demoni che incontriamo, ma in realtà la sfida è contro noi stessi. Pensavo a Bebe Vio, così è nata la sug- gestione della scherma che abbiamo utilizzato nel video girato a Mantova, in una bellissima chiesa sconsacrata”.

“Dieci piccoli accorgimenti” tu dai delle regole…
Il mondo è pieno di canzoni d’amore, a volte mancano delle canzoni tecniche. Mi sembrava che potessimo provvedere. Den- tro ci sono alcune istruzioni per una convivenza positiva tra lei e lui, per fare un percorso insieme, senza dover essere perfetti”.

“E allora tu” ha un arrangiamento bandistico che fa pensare a Fellini, a un’Emilia profonda…
“Ce ne siamo accorti a disco terminato. Quando facevamo ascoltare le tracce, molte persone ci hanno fatto notare che stiamo raccontando la nostra terra. Non solo Fellini, le Mondine. Penso anche al brano di apertura, ‘Dancing La Playa’”.

Di cosa parla?
Evoca un immaginario locale, quello delle discoteche degli anni ‘70, capannoni che ora sono cattedrali nel deserto dove si vivono storie periferiche, tra operai e badanti. Pensa che è una canzone rivolta a una bimba che deve ancora nascere. Il giorno stesso che ho scritto la canzone, è nata mia figlia. Immaginavo che avesse gli occhi neri, me la sono trovata con gli occhi azzurri”.

Come componi le canzoni?
Penso che è come se le canzoni esistessero già e vadano catturate. Ho questa suggestione. C’è una parte totalmente non con- sapevole di questo processo; mi capita di avere una comprensione totale di quello che volevo dire solo a pezzo finito. A me serve spazio, vuoto, molta poca musica attorno. E poi noi Flexus siamo molto severi, facciamo uscire solo le cose che ci convincono davvero, che hanno un’urgenza. Non è questione di far vedere quanto si è bravi, ma trovare qualcosa che possa es- sere utile anche agli altri. Deve avere valore per noi, solo così può averlo anche per gli altri”.

Mi ha colpito l’ultima traccia: “Stelle medicee”…
È un brano che parte da lontanissimo, dal 1610. Galileo Galilei scopre i satelliti di Giove e mette in discussione le convenzioni religiose del tempo. L’élite culturale del periodo si scaglia contro di lui. Succede anche oggi. Il pezzo è un atto di amore al coraggio di andare contro gli stereotipi di ogni epoca”.

Per ordinare il disco e rimanere aggiornati sulle date live, il sito web del gruppo è www.flexus.it

 

di Francesco Rossetti

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