Il disco della settimana: “Cousin”, i Wilco sorprendono ancora

Wilco – “Cousin”

I Wilco non finiscono mai di stupire. Dopo il ritorno al passato e ad un alternative country più classico del monumentale, quanto splendido, doppio “Cruel Country”, la band di Jeff Tweedy spiazza tutti e a poco più di un anno dal predecessore, pubblica un nuovo lavoro che prende una direzione completamente diversa, tornando a sonorità più sperimentali e ricercate. E questo “Cousin” conferma l’ottimo momento di forma della band di Chicago, dal punto di vista delle idee. Innanzitutto, per la prima volta dopo diversi anni, Tweedy e soci si affidano per la produzione ad una persona esterna, la musicista gallese Cate Le Bon, la quale, pur senza esagerare con l’utilizzo dell’elettronica, arricchisce le scarne composizioni di Tweedy con qualche cenno di sperimentazione qui e la. In secondo luogo il musicista dell’Illinois dimostra di avere ancora tanto da dire e da offrire, nonostante sia sulla scena da più di 30 anni (nel 2024 i Wilco celebreranno il trentennale della loro fondazione, avvenuta nel 1994 dopo lo scioglimento degli Uncle Tupelo).

L’atmosfera generale delle dieci canzoni nella track-list è tendenzialmente rarefatta, quasi Lo-Fi, e il disco, pur non essendo immediato, cresce ed entra dentro ascolto dopo ascolto. Fin dal brano iniziale dal significativo titolo di “Infinite Surprise”, con spunti quasi prog, “Cousin” sorprende l’ascoltatore invogliandolo a proseguire nell’ascolto. La successiva “Ten Dead” è una ballata più scarna, quasi ipnotica, come il testo che parla di apatia anche davanti a notizie drammatiche, mentre “A Bowl and a Pudding” è chiusa ed ermetica come l’argomento di cui tratta, l’incomunicabilità tra due persone. Ma i momenti migliori dell’album sono nel finale, a partire dalla scura “Pittsburgh”, con un inizio quasi classicheggiante. E gli ultimi due brani sono, probabilmente, quelli più vicini ai Wilco tradizionali. “Soldier Child” ha l’andamento delle ballate alternative country, mentre “Mean to Be”, posta in chiusura, è la canzone più aperta ed ariosa del disco. Da ascoltare con attenzione.

di Giovanni Botti

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