Un’estate sulle ali di “Vacanze Romane”. Intervista a Silvia Mezzanotte

Quarant’anni fa, al Festival di Sanremo del 1983, “Vacanze romane” arrivò quarta. Ma la settimana successiva vendette 500.000 copie – un’enormità – e fu chiaro a tutti che era stata la canzone del festival, insieme a “Vita spericolata”. Quest’anno Silvia Mezzanotte (foto) e Carlo Marrale, entrambi con un lungo percorso dentro ai Matia Bazar, hanno deciso di celebrare quel pezzo straordinario, incidendolo di nuovo e portandolo in tournée lungo la penisola. “Volevamo celebrarlo, questo capolavoro”, spiega Silvia, bolognese d’origine, ma modenese d’adozione. È qui infatti che ha trascorso lunghi tratti della sua vita. “È stata una mia richiesta specifica, perché Carlo, autore del pezzo, è la persona meno autocelebrativa che conosca. Abbiamo pensato di riproporlo in una versione essenziale, con un intreccio vocale e la sola chitarra. In questo modo riusciamo a trasmettere vibrazioni che lasciano il segno. Ci capita di esibirci anche in contesti con tanti artisti, magari con basi molte spinte. Poi arriviamo noi, attacchiamo e il pubblico si ammutolisce e si avvertono i brividi”.

C’è anche un video: dove l’avete girato?
A Roma, a palazzo Ferrajoli: sembrava proprio la location perfetta per questo arrangiamento.

A Roma l’avete proposto anche per strada, vero?
Abbiamo fatto un flash mob, chiedendo ovviamente i permessi al Comune di Roma. Ci siamo esibiti in una decina di posti: sotto il Colosseo, al Gianicolo, nelle piazze del centro, solo con una cassa portatile e i nostri microfoni. Un blitz divertente. Una volta abbiamo perfino bloccato il traffico, e sono stati i vigili a invitarci a ‘muovere le tende’. La volontà era riportare questa canzone nella città che l’ha ispirata, e in mezzo alla gente che l’ha resa celebre nel mondo.

Si celebrano anche i 70 anni del mitico film…
Infatti nella nostra locandina ho chiesto alla grafica di mettere un filtro che lo ricordasse. Avevamo addirittura provato un fotomontaggio buffo, la mia faccia su quella di Audrey Hepburn e la faccia di Carlo su quella di Gregory Peck, ma poi ci sembrava di togliere attenzione alla canzone.

Nel 1983 eri un’adolescente: ti ricordi quel Sanremo?
Me lo ricordo bene, ero poco più che adolescente, piena di insicurezze e paure. Avevo già una certa vocalità, ma anche una grande paura di esibirmi, ci ho messo molto tempo per capire che solo la voce mi avrebbe salvata. I Matia Bazar decisero di esibirsi non sul palco, ma su un terrazzino e questo li rese anche visivamente diversi dal resto, come artisti internazionali.

Quali sono i pezzi che preferisci dei Matia Bazar?
A parte le canzoni che appartengono agli anni 2000, strutturate sulle mie corde vocali (“Brivido caldo”, “Messaggio d’amore”, “Non abbassare gli occhi”), ce n’è una in particolare che mi piace: “Cavallo bianco”. L’ho sempre sentita mia e fu quella del riconoscimento reciproco alla terza audizione.

Chi omaggi con il tuo spettacolo “Le mie regine”?
Da ragazza ero di una timidezza viscerale. Leggendo le biografie di donne e cantanti straordinarie, ho scoperto che la paura del giudizio che sentivo, apparteneva a tutte. Con questo spettacolo voglio in qualche modo ringraziare queste artiste che inconsapevolmente mi hanno dato coraggio, forza. E quindi Mia Martini, la Vanoni, Mina con “Brava”, la sua canzone più iconica, difficilissima. E poi Gloria Gaynor della quale reinterpreto “I will survive”, riportando la canzone alle sue origini di protesta. Anche Adele, anche lei con una storia complessa, in riferimento al body shaming.

Cosa ne pensi dei talent? Fanno male o sono una palestra adatta ai tempi?
Un po’ tutte e due. Sono tempi di grandi superficialità. Lo scroll che si fa sul telefonino ha ridotto la soglia di attenzione a pochi secondi. I talent sono una delle pochissime opportunità, ma dietro servono famiglie solide, percorsi interiori già compiuti, serve tempo. Ora invece a 18-20 anni devi già essere pronto.

Quando insegni canto, cosa ti preme trasmettere?
Cerco di riportare i ragazzi a un senso di approfondimento. Per ogni pezzo scelto, io faccio cinque domande base: perché l’hai scelto, qual è l’emozione che vorresti trasmettere. Quando cominci a saper rispondere a queste domande, hai già fatto un percorso di scavo, di consapevolezza che ti sarà utile.

Quando un album di inediti?
Con Carlo ci stiamo lavorando. Ci siamo conosciuti come artisti, poi “annusati” come esseri umani, solo dopo abbiamo deciso di lavorare insieme. Siccome siamo un progetto senza scadenze, avanguardisticamente vintage, ci prendiamo tutto il tempo che serve.

di Francesco Rossetti

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