Cinema e serie TV: la recensione della sesta stagione di “Peaky Blinders”

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Questa recensione mi è stata imposta dall’alto, non dal mio direttore, bensì “per ordine dei Peaky f*****i Blinders”. Non c’era modo migliore, secondo chi scrive, per rendere omaggio ad una serie diventata iconica la quale, però, ormai è giunta verso il viale del tramonto. 

Era il lontano 2013 quando lo sceneggiatore Steven Knight, diventato famoso come l’ideatore dello show televisivo “Chi vuol essere milionario” e poi in seguito per aver scritto per David Cronenberg il bellissimo “La promessa dell’assassino”, faceva uscire nel catalogo di Netflix questo prodotto seriale dedicato al racconto di una piccola famiglia criminale di origini gitane nella Birmingham del primo dopoguerra. In breve tempo, però, “Peaky Blinders” conquistò pubblico e critica, grazie ad una sceneggiatura coraggiosa e ricca di colpi di scena, una regia virtuosa e mai banale, una colonna sonora eccellente e, soprattutto, ad un cast in stato di grazia e assemblato nel migliore dei modi. In questo modo, un caratterista bravo, ma sempre relegato a ruoli comprimari, come Cillian Murphy ha avuto i giusti riconoscimenti: il modo in cui si è calato, anima e cuore, nei panni di Thomas Shelby, leader della banda criminale, è qualcosa di unico e quasi irripetibile nell’universo seriale. 

Abbiamo, quindi, assistito all’evoluzione di questo personaggio, da semplice truccatore delle corse dei cavalli, fino ad arrivare ad essere milionario e componente del partito laburista cercando di fermare l’avanzata nazifascista in Inghilterra. In questa sesta stagione, interamente dedicata alla compianta Helen McCrory (zia Polly), osserviamo alla consacrazione, non che ce ne fosse bisogno, di Murphy, il quale è stato capace di dare altre mille sfaccettature al suo tormentato alter ego. Inoltre, Knight è stato bravo a creare il giusto climax in ogni puntata ma, al tempo stesso, lasciando aperte numerose sottotrame, che probabilmente verranno chiuse con il film in pre-produzione. Infine, geniale, come sempre, il cameo di Tom Hardy e del suo iconico Alfie Solomons. 

 

di Mattia Amaduzzi

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