Il grande albero nel Parco della Creatività, intervista all’artista Andrea Chiesi

Un albero di 30 piani, cantava il Celentano ecologista all’inizio degli anni ’70 per stigmatizzare il grattacielo Pirelli di Milano. Quello che Andrea Chiesi ha dipinto per Modena è invece un vero albero che si sviluppa in orizzontale arrivando a riempire 300 metri quadrati di parete di cemento. Un’enorme quercia che appare a chi percorre viale Sigonio e costituisce il segno più potente del nuovo parco della Creatività, vale a dire l’area dell’ex Amcm a due passi dal centro storico. “Realizzarla è stata una grande sfida – ha spiegato Chiesi – perché si trattava di tradurre su dimensioni monumentali il mio linguaggio pittorico che si esprime invece su formati canonici. Ho cominciato a lavorarci il 29 agosto. Ci ho impiegato un mese. Abbiamo utilizzato un cestello e piattaforme mobili in modo da poter lavorare in altezza fino a circa 10 metri. Ho lavorato con una tecnica simile a come lavoro su carta. Bagnavo il cemento, lavoravo con una vernice anti-carbonatazione, molto diluita, riuscendo a ottenere diverse velature per dare profondità”.

Come hai scelto i colori?
Sono i miei: nero, blu, verde, con questa vernice fatta apposta per il cemento e l’utilizzo esterno che dovrebbe garantire una durata lunga nel tempo. Non è street art, ma un intervento pittorico. Ho fatto quello che faccio su carta e su tela, solo cambiando formato. Ho fatto diversi bozzetti, ne ho scelto uno, poi ho fatto una quadrettatura come si faceva del resto anche nel Rinascimento. Dopo aver tracciato le linee principali dell’albero, sono andato liberamente nel disegnare questa vegetazione che sembrano quasi dei capelli, ho cercato di dare molto movimento perché non è un albero reale.

Perché un albero?
C’è un gran bisogno di alberi; sono un pittore e quindi lo dipingo. È un tema che ho ripreso tante volte, il soggetto iconico della mostra di due anni nel complesso San Paolo. Mi piaceva dare una specie di completamento a quel percorso con un’opera pubblica, aperta allo sguardo di tutti. Non dentro una casa, una galleria, un museo. Come ogni albero si trasforma, anche questo sarà soggetto agli agenti atmosferici che in qualche modo lo modificheranno nel corso dei decenni.

Un’opera che cambia a seconda della luce e di come batte il sole?
Sì, nell’arco delle ore della giornata la luce varia molto. Abbiamo cominciato in estate, ora siamo in autunno, quindi già ora la luce è cambiata. Ho lavorato con delle pennellesse e un colore che asciugava rapidamente. Ho fatto due passaggi finali sull’intera superficie e ora i colori hanno un’intensità che asseconda diverse possibilità di visione, da vicino o da lontano.

Quando hai visto per la prima volta questa grande parete, che impressione hai avuto?
Volevo farla sparire. Così mi sono ispirato a una grande quercia. Dietro c’è un’idea di rapporto tra uomo e natura, di relazione tra l’ambiente urbano e la parte necessaria del verde. Penso alla ‘quercia di Montale’, che nel 2019 è caduta nel parco di via Palestro a Milano. Hanno comunque salvato l’area intorno all’albero per lasciarla libera in modo che prosegua la sua esistenza biologica.

Sei preoccupato per il cambiamento climatico?
Credo che qualsiasi uomo di buon senso dovrebbe esserlo. È davanti agli occhi di tutti. C’è una questione di mancato equilibrio tra lo sviluppo delle città e l’ambiente circostante. Le aree verdi sono vita, vanno sostenute.

Vivi nella campagna modenese, ma frequenti assiduamente Milano: qual è il tuo habitat preferito?
Mi trovo bene in questa sana alternanza. La città caotica e lo studio isolato in campagna si equilibrano. Per creare ho bisogno di lentezza, di solitudine, ma a Brera ho la cattedra di pittura dove insegno anche disegno, una pratica a cui sono molto legato. Il disegno è il pensiero che prende forma, la prima impressione, la più immediata, quindi la più sincera.

Hai dipinto con la musica in cuffia, come fanno diversi artisti?
In effetti si diceva che anche Pollock realizzasse i suoi dripping ascoltando jazz a tutto volume.
No, io dovevo stare attento al cantiere intorno, inoltre avevo il caschetto. Ma è vero, la musica fa parte della mia formazione. Ancor più quello che ha rappresentato in un certo contesto, quello dei primi anni ‘80, soprattutto per la realtà emiliana. C’era chi suonava (a Reggio ora celebrano i CCCP con una mostra), chi scriveva (Tondelli). E ci sono ancora posti come il Ribalta di Vignola che promuovono queste istanze, cioè esprimersi liberamente senza la dittatura del profitto, trasmettere qualcosa: emozioni, riflessioni, pensieri.

di Francesco Rossetti

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